La Stampa, 2 dicembre 2021
Il vaccino contro l’inflazione non esiste
Sull’interminabile strada della ripresa, il maggior pericolo per le economie avanzate è oggi l’inflazione. Negli Stati Uniti, in novembre ha superato il 6 per cento annuo e bisogna risalire a oltre trent’anni fa per trovare un dato peggiore; la Germania è al 5,2 per cento, un massimo dal 1993; l’Italia si colloca, per il momento, su livelli più ragionevoli, e precisamente al 3,8 per cento, comunque sopra al livello di guardia, tradizionalmente fissato al 2 per cento.Il problema, però, non dipende dalle cifre bensì dalla natura del fenomeno: l’inflazione attuale sfugge alle classificazioni tradizionali e si sta rivelando un nemico difficile da combattere quasi quanto il Covid. Come il Covid si tratta di una nuova variante, con la differenza che contro l’inflazione non disponiamo di alcun vaccino. La sua caratteristica è di presentarsi “a grumi”, legati a fenomeni specifici, in grado non solo di determinare prezzi più alti ma anche di rallentare la produzione di settori ben determinati, e di non rispondere alle medicine tradizionali ossia soprattutto a politiche monetarie restrittive.Uno di questi “grumi” è rappresentato dai porti californiani di Los Angeles e Long Beach, la “porta” americana per le importazioni dall’Asia, nei quali si concentra il 40 per cento delle merci straniere in arrivo negli Stati Uniti. Il primo sussulto di ripresa ha causato una moltiplicazione di questi arrivi e i porti sono andati in “tilt” con code record di navi in attesa di poter scaricare.Per fronteggiare l’emergenza, il Presidente Biden che ha imposto un’operatività di ventiquattr’ore su ventiquattro e le merci hanno cominciato a muoversi. Si sono però fermate quasi subito, ossia nei magazzini degli stessi porti già intasati da merci arrivate in precedenza che non si riesce a instradare velocemente sulle vie di terra per la carenza di autocarri, e di loro autisti. Insomma, ci si accorge che le “catene del valore” sulle quali si è costruita l’economia globale degli ultimi 20-25 anni, sono largamente arrugginite per mancanza di investimenti in strutture fisiche e in capitale umano. E mentre, come abbiamo appreso in questi giorni, un vaccino anti-Covid si può realizzare in pochi mesi, gli investimenti mancati in competenza dei lavoratori, oltre che in banchine, magazzini e sistemi stradali, possono richiedere diversi anni.Un secondo “grumo” riguarda il sistema mondiale dell’auto, messo in crisi dalla carenza di specifici microprocessori, indispensabili ai nostri veicoli moderni. Gran parte di questi piccolissimi ma essenziali oggetti viene prodotta in una grande fabbrica a Taiwan che qualche mese fa è stata da fortemente danneggiata da un incendio. Mentre la produzione di un vaccino non ha bisogno di strutture industriali troppo sofisticate, per i semiconduttori il discorso è sicuramente più complicato e la scarsità pare destinata a protrarsi per buona parte del 2022. Quando poi si passa al petrolio e al gas naturale, l’economia si intreccia con la politica internazionale. I paesi produttori hanno spesso una notevole possibilità, almeno nel breve periodo, di incidere sui prezzi usando quest’arma con buoni risultati. Anche il rapporto semestrale dell’Ocse, uscito ieri, che fa ogni sforzo per essere ottimista, ammette, in un lungo paragrafo, che l’inflazione potrebbe riservarci sorprese sgradevoli nel 2022. È il momento, insomma, di guardare ai grandi sviluppi e non alle piccole cose, come senatori e deputati sono tentati di fare in Parlamento con migliaia di emendamenti alla legge di bilancio, pressoché tutti orientati all’aumento della spesa pubblica