Corriere della Sera, 1 dicembre 2021
Intervista a Gian Carlo Blangiardo
Presidente Blangiardo c’è un numero che più di altri riassume lo scenario sul fronte demografico?
«C’è un dato in particolare che evidenzia una tendenza inesorabile, ossia il totale degli abitanti in Italia: dal 2014 la popolazione diminuisce e nel periodo tra il 2014 e il 2020 abbiamo perso 1,08 milioni di residenti. Nella storia italiana – osserva il presidente dell’Istat – un fenomeno analogo era capitato in misura più lieve nel 1916 e nel 1917 e, poi, nel 1918, a causa dei 600 mila morti dovuti alla Spagnola e alla guerra. È un segnale inequivocabile ma, soprattutto, è la conferma di un saldo negativo tra nati e morti che prosegue da una ventina di anni».
Negli ultimi anni intanto il saldo è peggiorato.
«Registriamo un peggioramento a partire dal 2018, quando siamo arrivati, prima della pandemia, a 214 mila morti in più rispetto ai nati, poi con l’emergenza sanitaria sono diventati 342 mila in più».
Cosa ha pesato oltre alla pandemia?
«La forte diminuzione del flusso migratorio che compensava in buona parte il saldo naturale negativo. Quando è mancato il paracadute delle emigrazioni nette è emerso in tutta evidenza il crollo del numero di abitanti, una dinamica che innesca una serie di effetti collaterali».
A cosa si riferisce?
«A fronte di pochi ingressi si accentua l’invecchiamento della popolazione: oggi l’età media ha già superato i 45 anni, gli over 65 sono oltre il 23%, tra pochi decenni saranno un terzo della popolazione, con tutto quello che ne consegue. I grandi anziani con più di 90 anni passeranno da 800 mila a 2 milioni. Si tratta di avvenimenti che avranno conseguenze sugli equilibri che reggono il sistema Paese, mi riferisco a pensioni, sanità e una serie di elementi che danno vitalità a una popolazione».
La politica ha una percezione chiara o manca ancora una reale consapevolezza?
«Credo che ormai tutti abbiano compreso che è in atto il cosiddetto “inverno demografico”, un concetto evidente e chiaro anche al mondo della politica. Altrettanto chiaramente si è capito che il problema necessita di correzioni non semplici. Siamo di fronte a una malattia con la diagnosi conosciuta e con una terapia nota, il punto è che non è facile adottarla».
Crollo della popolazione
Dal 2014 persi 1,08 milioni di residenti. Nella storia italiana capitò in modo più lieve solo durante la Prima guerra mondiale e la Spagnola
Perché?
«Le ragioni sono molteplici, a cominciare dalla scelta di ridefinire la ripartizione delle risorse. Una volta deciso si può fare leva sulle misure per bloccare la discesa della natalità, sulle scelte per beneficiare dei flussi migratori, e, terzo aspetto, sulla valorizzazione dei diversamente giovani, i soggetti cioè, troppo spesso messi da parte per fare posto alle nuove generazioni. Non possiamo, dunque, permetterci di trascurare queste tre leve fondamentali».
Il quadro sembra complicato. Quanto lo è?
«È una situazione che potrebbe nel medio periodo presentare conseguenze drammatiche. Mi spiego: nel 2048, in base alle previsioni, avremo circa 835 mila morti e 390 mila nati, con i primi che saranno il doppio dei secondi. Sostenere che questo non sia un grave problema vuole dire negare l’evidenza».
Esiste qualche modello più virtuoso del nostro?
«La Francia, per esempio, è un paese che registra circa 700 mila nati anche nell’anno della pandemia. Questo perché da tempo c’è attenzione al tema demografico, attraverso la leva fiscale, gli assegni di sostegno, gli strumenti di sussidio e supporto alle donne che lavorano. Il nostro assegno universale è una buona iniziativa, che va nella direzione giusta, però non è sufficiente. Bisogna immaginare delle soluzioni ulteriori, con il coinvolgimento dei privati e non più soltanto dello Stato».
In questo quadro il Pnrr, oltre al supporto finanziario, può trasformarsi in un messaggio rassicurante sul prossimo futuro?
«Sarebbe bello se fosse così, nel senso che sarebbe giusto affidargli anche il compito di contribuire a creare un clima orientato all’ottimismo e a un senso di fiducia nel futuro».
La Conferenza nazionale di statistica affronta i temi connessi alla ripartenza, alla sostenibilità, all’inclusione. Che ruolo può svolgere la statistica e quale contributo può garantire?
«La Conferenza è l’occasione per una riflessione e una messa a punto degli strumenti e dell’organizzazione che stanno dietro il sistema statistico nazionale. La statistica ufficiale credo che svolga un compito fondamentale, fornendo dati chiari, oggettivi e certificati a chi deve prendere una decisione. Verificare, per esempio, in modo ufficiale che c’è un abisso tra il numero di decessi nel mese di ottobre del 2020 e lo stesso mese del 2021, vuole dire fornire a chi deve decidere se vaccinarsi o no un confronto molto chiaro per comprendere i vantaggi della vaccinazione».