la Repubblica, 1 dicembre 2021
Viaggiare nel Settecento
La parola turista è connessa con Grand Tour. Però il granturista del Settecento è uno che lavora mentre il turista attuale è in vacanza. Vacanza talvolta faticosa e scomoda mentre il granturista visse nell’agio e nella piacevolezza di quell’eletto svago che di fatto è dottrina ed esperienza. La mostra del Grand Tour alle Gallerie d’ Italia fornisce notevoli elementi di riflessione. Il Grand Tour potremmo definirlo una attività consapevolmente codificata consistente in una abitudine sociale per le classi afferenti alla nobiltà o alla grande borghesia imprenditoriale. Attività di formazione e piacere incentrata sull’Italia terra dell’arte, dell’archeologia e della bellezza paesaggistica. L’Italia dove si recavano i ricchi e gli intellettuali per completare la loro educazione a contatto diretto con la dimensione dell’Antico e del Rinascimento, esaltato dalla prodigiosa riemersione di Ercolano e Pompei, stimolante a singolari avventure come la sublime ascesa sul Vesuvio o la solitaria perlustrazione della Sicilia. È un quadro idilliaco, una sorta di età dell’oro, sia pure per una élite?
Dopo Aquisgrana nel 1748 ci fu un lungo periodo di pace, durato fino alle imprese napoleoniche, che favorì il transito continuo dei viaggiatori in Italia, ma in realtà non è mai esistito un movimento culturale tecnicamente definibile Grand Tour. È vero però che, rispetto a quella suggestiva dicitura, sono ben individuabili e descrivibili una serie di fenomeni culturalmente e socialmente rilevanti, organici nei loro contenuti e nei relativi comportamenti. Il fattore unificante è quello diplomatico. A provocare questo epocale fenomeno fu proprio il nuovo assetto della società europea successivo ad Aquisgrana mirante al mantenimento di nuovi criteri di pace e stabilità sociale scaturiti in reazione ai tremendi conflitti della prima metà del secolo diciottesimo. Il comando delle sorti delle nazioni passava dai militari ai diplomatici, agli ambasciatori, ai consoli e ai loro collaboratori più competenti nei vari settori di attività, anche se non sempre strettamente dipendenti dagli organismi ufficiali. Personalità come William Hamilton dalla sua residenza di Pizzofalcone o Joseph Smith a Venezia creano o alimentano una circolazione di incontri, rapporti (anche nel senso di attività di intelligence), relazioni implicanti la presenza in loco di politici, banchieri, commercianti, artigiani, intellettuali e artisti eminenti. Tutti tesi a elaborare insieme la nuova carta geografica del territorio pacificato letteralmente da ogni punto di vista, di cui supremo fu proclamato quello della bellezza che aveva da sempre in Italia la sua patria d’ elezione. Molti pittori, sovente di sommo livello qualitativo, furono essi stessi veicolo di diplomazia come Zoffany quando dipinge la Tribuna degli Uffizi per la Regina Carlotta d’ Inghilterra entro il 1777. Emblematica fu la vicenda del grande pittore tedesco Hackert proprio rispetto a William Hamilton che lo raccomandò a Ferdinando IV di Napoli permettendogli di tracciare un’ epopea figurativa che assunse cospicuo valore documentario, politico e morale. Il Grand Tour è allora una forma dell’Illuminismo nella sua accezione kantiana, che individua nell’idea estetica una peculiare attitudine conoscitiva nella rinnovata consapevolezza del contemperamento, proprio dell’essere umano civilizzato, tra la potenza istintuale depositata nella Natura e l’ attitudine contemplativa e riflessiva. Quell’attitudine che consente a ciascuno di noi, povero o ricco che sia, di abitare agiatamente la terra secondo i principi di pace, giustizia e armonia sociale. L’arte ne dà dimostrazione nella ritrattistica, nella veduta, nel capriccio, nelle ricognizioni sul territorio dove l’osservazione scientifica e quella emotiva si rimescolano donandoci benessere e felicità. Si comprende come la Natura sia più che sufficiente a farci del male o del bene senza avere bisogno di organizzarci, con enorme dispendio e strapazzo, allo stesso scopo.