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 2021  dicembre 01 Mercoledì calendario

Viaggi in mostra


L’obelisco di piazza del Popolo in formato tascabile, alto settanta centimetri in bronzo dorato, fa coppia con l’obelisco lateranense sotto una cupola di vetro nello studiolo del principe Luigi Boncompagni Ludovisi. L’Arco di Costantino è il souvenir più richiesto come dono diplomatico dai notabili italiani agli ospiti stranieri durante le loro vacanze romane. La Colonna Traiana in miniatura è venduta insieme a un bell’astuccio in marocchino verde che spicca nella vetrina dell’argentiere Giovacchino Belli dove la vede (e se ne innamora) il granduca Ferdinando III di Toscana.
Il celebre orafo Luigi Valadier, cui si deve il boom delle architetture trasformate in centrotavola, ne ha realizzato una copia simile in lapislazzuli, finita invece a Monaco nelle stanze dell’elettore palatino Carlo Teodoro di Wittelsbach. E, ancora, l’Arco di Settimio Severo, trionfale corredo di un banchetto blasonato, è uscito da un’altra bottega dell’Urbe per approdare alla residenza di Carlton House, poi a Buckingham Palace e da qui direttamente al castello di Windsor. Welcome Rome, benvenuta nella Royal Collection.
A suon di antichità in scala e repliche preziose delle rovine in dimensioni da viaggio, la città eterna ha sedotto committenti aristocratici sparsi in ogni corte d’oltralpe. Da Parigi a San Pietroburgo, da Madrid a Vienna, il percorso della mostra Grand Tour. Sogno d’Italia da Venezia a Pompei aperta alle Gallerie d’Italia di Milano (fino al 27 marzo, catalogo prodotto da Gallerie e Skira) costruisce una mappa dei tragitti, una geografia emozionale che, sul finire del Settecento, vede carrozze di forestieri, nobili e intellettuali, calare da nord lungo i passi montani, per dilagare in ogni città d’arte baciata dal sole e dall’eredità dei classici. Realizzata in collaborazione con il Museo Archeologico di Napoli e con l’Ermitage di San Pietroburgo (sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica), curata da Fernando Mazzocca, con Stefano Grandesso e Francesco Leone, la mostra celebra i dieci anni della sede milanese di Piazza Scala che, come ricorda Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo, «dal 2011 ha organizzato 40 mostre, ospitando due milioni di visitatori». E aggiunge «il Grand Tour è un invito a riflettere sull’Italia in rapporto all’Europa e sul contributo della cultura italiana alla costruzione di una identità e unità europee».
Oltre 130 opere seguono una scansione ordinata di sezioni, che spaziano dalle capitali ai templi, dal Mediterraneo al Vesuvio, dai maestri ai globetrotter. Al di là di monumenti pop o dei siti archeologici saliti in testa ai desiderata dopo le clamorose scoperte di Ercolano (1738) e Pompei (1748), che aggiungono una dose di brividi alle tappe canoniche di Napoli, Firenze, Roma o la Laguna, si capisce come l’attrazione fatale sia generata dall’aria stessa dell’Italia, dalla luce abbacinante della Sicilia (Agrigento e Taormina ritratte en plein air dall’austriaco Waldmüller) e dalle ombre dantesche dei ruderi muscosi (i Fori o le Grotte di Tivoli dello svizzero Ducros). Paesaggio e antichità è un binomio perfetto. Sui taccuini degli studenti e dei piccoli lord precettati dal canonico inglese Richard Lassels – inventore del neologismo fortunato di Grand Tour – si accavallano schizzi rubati a Chiaia o ai Campi Flegrei.
Dipingere l’architettura diventa anche la moda degli stranieri in trasferta che inseguono le orme dei giganti italiani: di Canaletto (una Regata sul Canal Grande in arrivo dalla National Gallery di Londra), di Bellotto o, come diceva Victor Hugo «di quella mente nera di Piranesi»; mentre Canova, considerato l’unico moderno che eguagli gli antichi, è tallonato dai principi russi, come Nikolaj Borisovi? Jusupov che fortissimamente vuole (e strapaga) un Amorino alato per il suo palazzo fuori Mosca.
Davanti a spettacoli naturali dal fascino un po’ perverso, come le nevi perenni o le eruzioni del Vesuvio, la sensibilità neoclassica scivola nel romanticismo. Piacere e raccapriccio si mescolano nelle incandescenze sublimi del francese Volaire che scheggia di lapilli un quadrone di tre metri. L’omaggio all’ira del vulcano torna pure nella sezione dei ritratti, sullo sfondo di Corinna al capo Miseno di Gerard, ispirata al noto romanzo di Madame de Staël libro decisivo, accanto al Viaggio in Italia di Goethe, per la diffusione all’estero del sogno italiano.
La chiusura sui gadget d’epoca infila una sequenza di capolavori prêt-à-porter. Fra tutti, il Laocoonte dei Vaticani per cui Winckelmann conia la leggendaria definizione «nobile semplicità e quieta grandezza», venduto a 18 scudi con basamento a scelta! Oppure il bronzetto fedele dell’Ercole Farnese, opera del Righetti, incalzato da esigenti collezionisti e teste coronate, come Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte, cui viene spedita dall’autore una serie preziosa delle sue «statue dall’antico in piccolo». E Bon Voyage.