la Repubblica, 1 dicembre 2021
Intervista a Milorad Dodik
BANJA LUKA (BOSNIA-ERZEGOVINA)
«La verità è che non c’è consenso sul fatto che la Bosnia-Erzegovina debba esistere ancora. Serbi e croati sono costretti a vivere in questo Stato, ma non vorrebbero. Per molta gente è un dovere, non un desiderio. Io parlo con franchezza, questo è il mio difetto...». Dopo un’ora di domande e risposte sullo scivoloso crinale del tema della secessione, appare in tutta chiarezza il retropensiero che sta guidando il leader della Republika Srpska nell’anno che precede le elezioni. «La secessione non è nei miei piani, né voglio un conflitto armato», ripete il 62 enne Milorad Dodik, nel tentativo di allontanare con le parole ciò che ha avvicinato con i fatti. «Serbi, musulmani e croati possono convivere, se si siedono attorno a un tavolo e sotto l’egida di una Costituzione legittima».
Dodik, presidente di una delle due entità (quella a maggioranza serbo-ortodossa) in cui è suddivisa la Bosnia-Erzegovina e componente della presidenza tripartita, è l’enigma che spaventa Ue e Usa. Non foss’altro per l’ostentato supporto che sta ottenendo da Vladimir Putin («lo stimo, è uno che mi ascolta a differenza degli occidentali») e da Pechino. Lo incontriamo a Banja Luka, nella sala di rappresentanza del governo locale, al sedicesimo piano del palazzo che domina la città.
Se non vuole la secessione, perché ha annunciato il trasferimento alla Srpska di servizi sinora affidati alle istituzioni centrali, quali fisco, intelligence, giustizia, agenzia per il farmaco?
«Per 26 anni l’interventismo della comunità internazionale, esercitato attraverso l’Alto Rappresentante e tre giudici della Corte costituzionale, ha distrutto la Costituzione creando un sistema illegale. La Bosnia-Erzegovina può sopravvivere se ritorna alla Carta scritta nel 1995 a Dayton. Quando ho parlato di secessione era una riflessione: se la Bosnia non risolverà i problemi, la secessione potrebbe accadere».
Come fa a dire che c’è un sistema illegale?
«Niente di buono è stato portato da quella gente. Siamo ancora l’area meno sviluppata dell’Europa. La riconciliazione delle diverse comunità è avvenuta? No. Siamo entrati nell’Unione? No. È tempo di cambiare approccio. Non possiamo permettere che siano stranieri non eletti in Bosnia a fare le leggi per noi».
Perché contesta l’emendamento dell’ex Alto Rappresentante Valetin Inzko, che punisce chi nega il genocidio di Srebrenica e i crimini di guerra?
«Perché non aveva diritto a imporre la legge, a prescindere dal contenuto».
Il contenuto lo condivide?
«È opinabile. A Srebrenica si può dire che c’è stato un crimine, che io condanno. Non si può dire però che è stato compiuto dai serbi, intesi come nazione. È stato compiuto da alcuni individui».
Mladic, che ordinò il massacro, era comandante militare dei
serbo-bosniaci.
«Mladic? Non so... A Srebrenica, comunque, ci furono uccisioni tra i serbi che sono state messe da parte».
E lei adesso parla di ricostituire l’esercito della Repubblica serba.
Farà approvare il suo progetto dall’Assemblea nazionale?
«La Srpska può avere il proprio esercito, c’è scritto nella Costituzione. Non stiamo chiedendo niente di nuovo. Del resto a che cosa serve un esercito congiunto dove combattono insieme serbi, croati e musulmani? Se la Serbia ci attaccasse, dico per fare un esempio ipotetico, crede che i soldati serbi rimarrebbero fedeli all’esercito della Bosnia? Lo stesso vale per i croati.».
Il nuovo Alto Rappresentante, Christian Schmidt, in un report all’Onu sostiene che lei sta minacciando l’unità e che il rischio di un nuovo conflitto è reale.
«Bugie. Schmidt è venuto qui, ha preso un report scritto dai musulmani e ci ha messo la firma sotto. Può dire ciò che vuole, lo considero solo un privato cittadino perché la sua nomina non è stata appoggiata da tutti i firmatari dell’accordo di Dayton. Quindi a oggi la Bosnia non ha un Alto Rappresentante, ed è una buona notizia. Siamo l’ultima colonia d’Europa, ma stiamo cominciando a liberarci».
A Bruxelles potrebbero decidere di emettere sanzioni contro di lei.
Teme questa possibilità?
«Ecco l’arroganza del potere. No, non sono spaventato. Non sono stato eletto per essere un codardo. In quale parte la mia politica sarebbe destabilizzante?».
Sta separando, di fatto, la Repubblica serba dallo stato centrale costruito a Dayton.
«Ripeto: non sono contro quella Costituzione, ma contro ciò che ci è stato imposto dall’esterno».
È la sua vicinanza a Vladimir Putin che la fa stare così tranquillo?
«Non vado in Russia a pregare qualcuno. La differenza tra Putin e i leader occidentali è che lui mi ascolta. Putin non mi ha mai chiesto di fare o non fare qualcosa, ecco perché lo rispetto. Quando invece i politici dell’Occidente, anche i più bassi in grado, si presentano nel mio ufficio, vogliono impormi cose».
Non pensa che a Putin interessi solo aver influenza sulla Srpska per ottenere il ritiro delle sanzioni sul caso Ucraina?
«Putin non è un calcolatore, né uno speculatore».
Ma lei come è diventato l’uomo di Mosca? Fino a una decina di anni fa era considerato il referente degli Stati Uniti.
«Ci siamo separati, ma non per mio volere. Sono ancora la persona che crede nei principi democratici e nel libero mercato. Rispetto le identità tradizionali. Però io non sono cambiato. Un giorno gli americani sono venuti da me e mi hanno detto: tu devi cambiare. Non potevo accettare. Nel 2021 chi difende veramente gli accordi di Dayton è Milorad Dodik».