Corriere della Sera, La Stampa, 1 dicembre 2021
Interviste a Monica Bellucci
Sfuggita al vecchio incantesimo della bellezza come gabbia dorata che, un tempo, inesorabilmente, imprigionava le attrici negli stessi ruoli decretando la fine precoce delle loro carriere, Monica Bellucci può permettersi oggi il lusso dell’ironia, il gusto di parlare di uomini come loro hanno sempre parlato di donne, la possibilità di affrontare prove temerarie come poteva essere quella di The Girl in The Fountain, il film di Antongiulio Panizzi (in cartellone al Tff e oggi e domani in 70 sale con Eagle Pictures) in cui si confronta con l’icona della Dolce vita Anita Ekberg. Ospite d’onore del festival, dove oggi tiene una masterclass e ieri ha ricevuto il premio Stella della Mole, in attesa di arrivare sugli schermi il 30 dicembre con il film di Paola Randi La befana vien di notte in cui è Dolores, strega dolce e potentissima dedita alla felicità dei più piccoli, l’attrice svela, con un sorriso, la sua ricetta di sopravvivenza: «Può succedere che la bellezza sacrifichi la possibilità di esprimersi, averla è come indossare una maschera, anche io ho rischiato di restare intrappolata, ma devo ringraziare il cinema e i registi che, attraverso le loro proposte, mi hanno dato la possibilità di rivelarmi, al di là degli stereotipi. In passato, anche nell’epoca di Ekberg, le donne dopo i 40 anni non potevano più recitare, io, invece, sono ancora qui, pur non avendo né 30, né 40, né 50 anni».Nella Dolce vita Anita Ekberg incarnava la bellezza, eppure la scena nella Fontana di Trevi, una delle più celebri della storia del cinema, l’ha condannata all’oblio prematuro. Una cosa del genere potrebbe succedere anche adesso?«Diventare un’icona può essere pericolosissimo, Ekberg è nata in un periodo in cui il cinema non permetteva alle donne di invecchiare e poi, a differenza di molte sue coetanee di allora, non aveva alle spalle nessuna protezione maschile. Oggi è diverso, noi attrici possiamo vivere il nostro percorso liberamente, possiamo dire quello che pensiamo senza temere, come accadeva allora, che qualcuno ci metta una nota negativa tipo “se hai detto questo, adesso non lavorerai più”. Insomma, le cose sono molto cambiate, e lo dobbiamo soprattutto a noi stesse, perchè abbiamo imparato ad amarci e rispettarci molto di più di prima. Nel lavoro, come nel privato, poteva succedere che qualcuno ti raccomandasse di non diventare madre perché avresti smesso di essere vista come oggetto del desiderio. Adesso, per fortuna, possiamo vivere la nostra vita, senza vergognarci del tempo che passa. L’energia non ha niente a che vedere con l’età».Perchè la Ekberg divenne subito così popolare?«Non l’ho mai conosciuta e mi sono avvicinata a lei in punta di piedi, ma, quando vedo le sue foto, ho l’impressione che emani qualcosa di buono e che questa sia stata la ragione per cui tutti ci siamo innamorati di lei. Se in qualcuno ha provocato fastidio è successo perchè è stata sempre sincera, come una bambina. E poi aveva il suo modo di essere nordico, molto diverso da me, che sono mediterranea e più chiusa».Se dovesse scegliere, Dolce vita oppure Otto e mezzo?«Nella Dolce vita c’è la rappresentazione del sogno assoluto, in Otto e mezzo c’è un uomo che, per stare bene, capisce di avere bisogno di tante donne diverse. Anche noi donne iniziamo ad essere così, quindi forse dico Otto e mezzo».Ha appena incarnato Maria Callas a teatro, una star che ha sofferto molto. Cosa l’ha colpita della sua vicenda?«Sia lei che Ekberg, pur essendo molto diverse, sono donne che hanno rappresentato emozioni tragiche e fortissime. Hanno vissuto luci e ombre in modo doloroso, le ho abbracciate ambedue, la Callas era intima, nascosta, privata, ha attraversato le sue sofferenze con assoluta dignità. Mi ha toccato vedere un’intervista, risalente a tre anni prima della sua morte, in cui un giornalista le diceva, “signora Callas, lei non ha più voce, suo marito non c’è più e Onassis è sposato con Jacqueline Kennedy”. Era come dirle in faccia “non sei più niente”, un atto di violenza terribile, oggi nessuno oserebbe parlare così a una donna».Che cos’è il divismo per Monica Bellucci?«È quello che il pubblico fa di te. Non è qualcosa che puoi controllare, tu fai il tuo lavoro, i tuoi film, poi sono gli spettatori a fare di te quello che sei».Stiamo vivendo tutti, a causa del Covid, un periodo difficile. Lei come lo ha affrontato?«Ho riflettuto sul fatto che la nostra generazione non ha conosciuto la guerra e quindi, fino a prima della pandemia, non sapevamo che cosa volesse dire ritrovarsi obbligati a subire delle costrizioni. È stata dura per tutti, ho cercato di vivere questo periodo come un’occasione per chiudermi con la mia famiglia, con le persone che mi sono più care, mi sono sentita fortunata per avere dell’amore intorno a me. Mai come in questo momento abbiamo capito quanto le cose semplici siano importanti e necessarie». —