La Stampa, 1 dicembre 2021
Sedotti e abbandonati
«SE telefonando potessi dirti addio, te lo direi, se guardandoti negli occhi potessi dirti basta, te lo direi». E invece no: c’è chi non riesce a farlo, e non lo fa. Sono quelli che spariscono, che non chiamano perché non sanno dire, non parlano perché non sanno spiegare, evitano perché non sanno affrontare la fine di una storia. Un dissolvimento che prende il nome di «ghosting»: e che oggi si manifesta nelle molteplici forme che può avere un’assenza: non esserci vuol dire non farsi vedere, non chiamare, ma anche non rispondere alle email, rendersi invisibile sui social, nelle chat, bloccare qualcuno impedendogli l’accesso a ogni istante della vita che si decide di condividere online. Morgan ne parla il sabato sera su Rai 1: e se accendere un faro sul fenomeno è importante, si tratta però di materia da maneggiare con cura, perché si entra nel territorio della medicina, della depressione e dei disturbi della personalità.
«Il ghoster sparisce da un momento all’altro, senza un motivo evidente, magari anche dopo anni di relazione», spiega Tiziana Corteccioni, psichiatra e psicoterapeuta. E bisogna subito mettere dei paletti. Il ghoster non dà nessuna spiegazione: non è una persona che dice «è finita, non ti amo più, ora smettila di cercarmi». Non dice proprio nulla. E da qui nasce la prostrazione della vittima: «Si prova una profonda rabbia, ci si sente impotenti perché non si riesce a dare una spiegazione: e allora scatta il meccanismo per cui la vittima si attribuisce la colpa di questa sparizione, comincia a pensare di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato». La vittima si sente il carnefice, e questo provoca un’ansia che può diventare depressione, e allora serve un aiuto medico per venirne fuori.
«Io finché non l’ho vissuto – ha detto Morgan sabato sera – non avrei mai immaginato che le ripercussioni potessero essere anche dei danni fisici. L’idea di non poter parlare a una persona a cui vuoi parlare ti fa mancare il fiato». È un terreno scivoloso e se ne rende conto poco dopo la trasmissione Roberta Bruzzone, la criminologa opinionista di Ballando con le Stelle che commenta così: «La sofferenza per essere stati lasciati non legittima la persecuzione di chi ha deciso di non voler più avere a che fare con noi/voi. Ci sono ottimi Professionisti della salute mentale a cui rivolgersi per evitare di trasformarsi in stalker… o anche peggio». Ma capita davvero che la vittima del ghosting, non facendosene una ragione, si trasformi in stalker? «Nella mia esperienza no- risponde la psicoterapeuta -: se succede è perché anche la vittima ha a sua volta una fragilità». E la cosa peggiore che può accadere a una vittima che cerca di reagire è lo «zombieing»: il fantasma riappare, torna, magari dopo anni. Quasi sempre viene riaccolto, quasi sempre sparisce di nuovo senza dire ba.
Dare spiegazioni vuol dire assumersi una responsabilità. Significa trovarsi a dover gestire angoscia e rabbia. Morgan dice «Non dimenticare che hai detto ti amo a una persona, anche se non la ami più», lamentando il silenzio opposto da chi sparisce: e nessuno può dargli torto, se non fosse che a chi sparisce in questo modo non si può chiedere un comportamento razionale, perché spesso alla base ci sono disturbi della personalità. «È un comportamento tipico del narcisista – dice Corteccioni – il cui tratto distintivo è l’assenza di empatia e quindi non considerare minimamente cosa proverà l’altra persona». Insomma, il ghoster con il suo comportamento fa molti danni, ma è anche una persona che ha bisogno di un percorso terapeutico.
Morgan parla anche di allarme ghosting tra i giovani: «È vero. È un fenomeno molto comune, anche perché molto di più trai ragazzi le relazioni sono digitali. E il ghosting è uno degli effetti collaterali negativi: se da un lato diventa molto più facile incontrarsi, se stare dietro una tastiera toglie molte paure e insicurezze, dall’altro diventa anche molto più facile sparire. Il problema però è più ampio: quello che manca è un’educazione relazionale, l’insegnare come si può costruire una relazione sana che rispetti i bisogni propri, ma anche quelli dell’altro». —