la Repubblica, 1 dicembre 2021
Roberto D’Agostino e il cibo
Quando ho letto che persino la Treccani ha sdoganato tra i neologismi il tuo geniale verbo attovagliarsi, ho pensato che la nostra serie di interviste dedicate al rapporto di personalità pubbliche con il cibo non poteva che partire da Roberto D’Agostino, giornalista, scrittore e blogger assurto a grande notorietà dopo aver inventato Dagospia, il sito di gossip e informazioni al quale più volte al giorno si abbeverano potenti e comuni mortali.
Roberto, tu sei un gaudente, ti mangi la vita.
“La tavola è un rituale prezioso, mangiare è un modo di stare assieme. La comunicazione è fondamentale, come attovagliarsi per la socialità e innanzitutto con la famiglia, rubando spazio al lavoro. È il piacere di raccontare la forma della vita: del resto, da Sheherazade a Boccaccio, su cosa si basa la nostra cultura se non sul racconto?”.
Chiacchierare con Dago è un continuo stop-and-go. Immerso nello studio animato da una formidabile collezione pop-fetish-trash, con Madonne e Cristi che benedicono una selva elettronica e plastificata di falli d’ogni foggia e dimensione, governa un cellulare bollente dentro il quale si nascondono segnalazioni, richieste, preghiere, implorazioni e imprecazioni di chi cerca – o teme – quel posto al sole sul Web che solo lui col suo sito è capace di dispensare.
Mi guarda la pancia e sorride.
“Quando mi hanno detto che devo perdere peso – come te – mi hanno spiegato che la prima cosa è la masticazione. Più che mangiare, è fondamentale masticare lentamente ogni boccone”.
Un contrappasso con il ritmo frenetico della tua vita on line. Oh, ma non mi sarai mica diventato un asceta?
“Ma non scherziamo. Vuoi mettere un bel bicchiere di Primitivo di Manduria. Una mela fritta, un onion ring! E poi l’alcol accende un’energia. E il cibo ora lo apprezzo di più. Ma se cominci a fare il gourmet, tutto si ammoscia. Senza nulla togliere ai grandi ristoranti – da Heinz Beck ho mangiato benissimo – non sopporto quando mi raccontano un piatto per mezz’ora. Ti dirò di più. Sicuramente esistono ricette sublimi, che ne so, il risotto con l’oro. Ma io più vado avanti, più cerco cose semplici. L’altro giorno a Napoli da Mattozzi ho mangiato un’indimenticabile fetta di casatiello caldo. Voglio dire che il cibo è una miccia per il piacere e che mi accende la pizza fritta, la pasta asciutta, quelle ricette che più sono semplici più è difficile trovarle fatte al meglio. Altrimenti, cazzo c’ho in bocca, ‘sto garbuglio!”.
Sei diventato reazionario, tu che esplori le frontiere?
“Ma io non sono tornato all’antico, non mi sono mai mosso! Negli anni Ottanta appuntamento fisso quotidiano con la salumeria Franchi: pizza e mortazza. Oggi una pagnotta di Roscioli con l’olio, la verdura di Sabaudia. Ode al friariello, altro che carpaccio. Il cibo basico fatto da Dio è il miglior lusso che ci possiamo consentire”.
Finalmente Dago si scalda. E recita il suo menu.
“Crostacei crudi vivi, filetti di baccalà fritti (uno solo però), minestra con l’arzilla, pasta e ceci riposata (la mia debolezza). Galletto schiacciato, come lo fanno alla Campana, qua dietro”.
La verità è che la tavola per Dago è un pretesto.
“Sì, ti ricordi tanti anni fa quando andavamo all’Augustea. Il tavolo sociale dove non ci fregava niente di quello che mangiavamo. Era un salottino: la vita romana è una vita di relazioni che passa meglio davanti ad una tavola e a un bicchiere di vino. Il piacere di stare assieme e scambiarci storie, racconti, pettegolezzi. Oggi invece negli stellati mi sento ostaggio del cibo e del cameriere, non mi trovo a mio agio. Vedi cosa è successo a quei locali che si sono trasformati in un coagulo di potere, magistrati, alti burocrati, marchette, spioni… perché li hanno riempiti di cimici, perché tra la pasta e il vino si perde il controllo e si parla”.
Il vino, dimenticavo Roberto: bianco o rosso?
“Rosso, fermo. Scrivilo: a me del Cristal me ne frega un cazzo, preferisco la gazzosa”.