Il Messaggero, 1 dicembre 2021
Le folli lettere di Breivik dal carcere
Torbjorn Vereide ha trovato la lettera sulla scrivania del suo ufficio, allo Storting, il parlamento norvegese a Oslo. L’ha aperta senza far caso al mittente, e quel «Caro Torbjorn» scritto con una penna blu, tutto stampatello, gli ha provocato, dice, «una stretta allo stomaco». Non ha riconosciuto la scrittura, ma ha capito subito, forse andando con lo sguardo a quello che c’era scritto sotto: otto pagine stampate di propaganda del Movimento del Potere Bianco, un delirio suprematista sulla razza superiore e l’arianesimo. «Mi sono seduto ha raccontato al giornale norvegese Firda Poi ho girato la busta per vedere il nome». Anders Breivik. «C’è qualcosa di inimmaginabile quando qualcuno che ti ha puntato un fucile contro, che ha sparato e cercato di ucciderti, adesso ti spedisce una lettera». Di lettere come quella arrivata a Torbjorn ne sono arrivate tante in questi ultimi tempi. Tutte spedite dal carcere di Telemark a Skien, dove Breivik, 42 anni, sta scontando la condanna a 21 anni il massimo previsto dal codice penale norvegese per aver massacrato 77 persone, quasi tutti adolescenti, il 22 luglio 2011, prima con una bomba nel centro di Oslo, e poi facendo strage armato di due fucili e una pistola automatica sull’isola di Utoya, dove si stava svolgendo un raduno dei giovani militanti del partito laburista.
Torbjom c’era, a Utoya, quel 22 luglio. Aveva 22 anni. C’erano la maggior parte di quelli che in questi giorni hanno ricevuto la lettera di Breivik: dal carcere si è preso la briga di inviare un saluto manoscritto a tutti, i sopravvissuti al suo massacro, gli ex ragazzi che riuscirono a nascondersi in acqua, sul fianco delle scarpate, quelli che riuscirono a vivere dopo decine di operazioni, restando mutilati. Breivik ha inviato missive di propaganda anche a qualche parlamentare, qualche parente delle vittime, padri o madri che hanno perso un figlio o una figlia. Ne ha inviate ai giovani membri della sezione giovanile del Partito Laburista, a qualche figura pubblica. Una lettera l’ha ricevuta anche Lisbeth Royneland, a capo dell’Associazione delle vittime del 22 luglio. «Credo che voglia farci reagire, per attirare l’attenzione. Io la definisco una molestia, un’aggressione. Vuole farci sapere che è sempre vivo, presente. Vuole farci paura».
Royneland chiede che adesso i servizi penitenziari entrino in azione e impediscano che Breivik possa continuare a inviare lettere ai sopravvissuti del suo massacro o alle loro famiglie. Torbjorn, che come altri sei sopravvissuti della strage è entrato a settembre in Parlamento, si dice più preoccupato di quelli sempre più numerosi che alle idee di Breivik credono. «La lettera dice l’ho tenuta poco in mano, l’ho messa nel tritacarta, che l’ha distrutta».
A gennaio il tribunale dovrà decidere sulla possibilità di concedere la libertà vigilata a Breivik, cosa che sicuramente non accadrà. Il pluriomicida non si è mai pentito. Nel 2016 era riuscito a vincere una causa intentata per le condizioni di detenzione che riteneva «troppo dure» lamentandosi di «non poter entrare in contatto con altri militanti di estrema destra». Toccherà ora alle autorità del carcere decidere se Breivik può continuare a inviare lettere ai superstiti di Utoya: «In teoria – ha commentato un dirigente penitenziario – il detenuto è libero di scrivere a meno che questo non porti a nuovi reati, o costituisca un atto persecutorio, e questo mi pare il caso».
Nel 2016 le autorità del carcere di Telemark erano già dovute intervenire sulla corrispondenza di Breivik, che in cinque anni aveva ricevuto e inviato circa 3mila lettere, quasi tutti scambi con attivisti di estrema destra o neonazisti. Due anni dopo un’inchiesta del quotidiano Aftenposten rivelava che tanti sopravvissuti della strage di Utoya ricevevano regolarmente messaggi di insulti e minacce. In tutto risultavano una quarantina di autori diversi, 29 furono identificati e arrestati.