Corriere della Sera, 30 novembre 2021
Rubato alle fiera di Verona l’oro del Po
«Sono entrato nel padiglione dove avevamo allestito lo stand e quando domenica mattina ho visto che la nostra teca, con pepite e pagliuzze, non c’era più, m’è venuto un colpo... L’abbiamo cercata ovunque, ma ho perso la speranza quando uno della sicurezza mi ha indicato un piazzale poco lontano: “È là fuori, ma vuota”. Cosa custodiva? Cinque chili d’oro divisi in 125 provette contenenti pietruzze e filamenti che abbiamo trovato lungo il Po, il Ticino, l’Adda, l’Oglio... Tutto sparito, un “bottino” da 700.000 euro...».
Luca Pasqualini ha 47 anni. È un cercatore d’oro professionista, un personaggio da frontiera del West – galosce, cappello tipo Stetson, pantaloni in tela ruvida – sempre vissuto tra Casorate Primo e Bereguardo, nel Pavese.
Con papà Armando che gli ha insegnato ogni segreto del mestiere, ha passato la vita setacciando con la «batea» – la padella bucata per filtrare i detriti – gli argini di fiumi e torrenti tra Piemonte e Lombardia, il «Klondike» dell’Europa per la cospicua presenza del prezioso «metallo giallo».
Sabato sera i due sono stati vittima di un furto incredibile avvenuto a Veronafiere dove si teneva «Mineral Show», rassegna dedicata all’esposizione di preziosi e strumenti per la loro lavorazione. Genitore e figlio erano stati invitati per esporre le loro pepite «provenienti da 45 anni di ricerche, cominciate da mio padre, nel Nord Ovest d’Italia dove già lo cercavano i romani. Con quel furto, sparisce anche un importante valore geologico e archeologico» è la scoraggiata e avvilita sintesi.
Quanto ripreso dalle telecamere di sicurezza pare la scena di un film: Armando e Luca – celebri pure per l’incetta di titoli ai mondiali per cercatori – lasciano lo stand in cui troneggia la teca, che badano a coprire con un telo alle 18 e 20 di sabato. Dodici minuti dopo (prima della chiusura, alle 19) compaiono due uomini con tute da lavoro nere, mascherina anti-Covid e zuccotto. Afferrano il contenitore spostato agevolmente tra i corridoi grazie alle rotelline in basso. Escono sul retro, aprono la vetrina senza forzarla, prelevano pepite e pagliuzze infilate in un sacco ed escono dall’ingresso principale, dribblando i visitatori e scomparendo in auto. Fine. Un piano a metà tra Diabolik e Vincenzo Peruggia, il decoratore che staccò la Gioconda dalla parete del Louvre per filarsela in bus con la tela sotto al braccio.
Sul furto indaga la Squadra mobile di Verona che ha visionato i filmati. Veronafiere (la società organizzatrice) in una nota si dice «dispiaciuta per l’accaduto», osserva che la «vigilanza si svolge in particolare dall’orario di chiusura a quello di apertura, salvo altre esigenze espresse dall’espositore» e precisa che alle 18 e 32, ora del furto, «lo stand era già lasciato incustodito».
Ma la sorte di pepite e pagliuzze? Riciclarle non è complicato: «nel giro di un’ora, possono essere sciolte – scuote la testa Luca – in lingotti che finiranno chissà dove. Così la nostra ricerca sull’oro italiano durata quasi mezzo secolo finirà nel nulla».