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 2021  novembre 30 Martedì calendario

Intervista a Giuseppe Conte

MILANO Vuole dialogare con tutti per il Quirinale. Anche con la destra. Non si sente subalterno al Pd. Anzi. E prevede che si voterà nel 2023. Tanto che ci sarà il tempo per fare il proporzionale e pure qualche riforma.
Ieri in diretta su Corriere.it e adesso qui, sul quotidiano: Giuseppe Conte, ex premier, leader M5S, abbraccia il governo «ma la politica non va esiliata».
È più facile guidare l’Italia o i 5 Stelle?
«Sono due incarichi che richiedono grande impegno e grande passione. Diversi, certo. Ma per tutti e due vale l’interesse generale, l’obiettivo di migliorare la società e il Paese. Con orgoglio e dedizione».
Nel Movimento c’è molta agitazione, a partire dal 2 per mille, e i sondaggi non sono favorevoli: dov’è il problema?
«È una fase di costruzione, anche di rifondazione. Il nuovo corso ha bisogno di tempo. Il senso di una comune immedesimazione non si dispiega ancora in tutte le componenti del Movimento, è comprensibile che ci sia qualche incertezza. Ma nella stragrande maggioranza c’è la forte volontà di correre insieme. Forse si era un po’ perso lo spirito di comunità, ma ci ricompatteremo sui valori e sull’azione politica. Torneremo più forti di prima».
Ma come ne uscirà? Con quale strategia?
«Applicazione, slancio, coinvolgimento di tutti, decisioni comuni. Dalla stagione del solo leader politico alla voce degli organi competenti, al ruolo dei gruppi di Camera e Senato. Confronto, dialogo, rispetto delle sensibilità».
Le priorità
C’è anche la recrudescenza
della pandemia. Lascerei lavorare il premier,
non tiriamolo
per la giacchetta
Diciamolo, però: il Movimento è cambiato tantissimo rispetto al 2018. Un’altra natura prima che un’altra politica.
«Non diventerà un partito, anche perché i partiti sono in crisi e tendono loro stessi a farsi movimenti. La struttura resterà leggera ma con un sano principio di efficacia e di organizzazione. Le persone giuste e una sintesi politica convincente e quotidiana».
Come sono veramente i suoi rapporti con il fondatore Beppe Grillo?
«Ci sentiamo molto spesso. Al di là della narrazione corrente, sono buoni. Grande rispetto per la sua figura, per quello che ha fatto e continuerà a fare. Ispirando dall’alto del suo ruolo l’azione del Movimento».
Siamo al punto. Come si sceglie il presidente della Repubblica?
«Il modo più corretto è un confronto nelle forze politiche, nei gruppi parlamentari. Non c’è dubbio. Ma poi serve il confronto tra gruppi e tra forze politiche. Esistono un’area progressista e un’area di destra. Ma quando si ragiona per scegliere la figura che garantisca l’unità del Paese e rappresenti felicemente tutti gli italiani, allora c’è uno sforzo da fare, bisogna uscire dallo steccato dell’alleanza precostituita, dialogare anche con le forze di centrodestra e di destra. Si deve trovare una persona di grande profilo morale e autorevolezza che possa guidarci per i prossimi 7 anni».
Sarebbe favorevole all’elezione di Mario Draghi al Quirinale?
Il giudizio sul governo
Il governo sta facendo bene: alcune misure
ci soddisfano di più,
altre meno. La nostra critica è costruttiva
La politica non va esiliata
«Lascerei lavorare il premier Draghi. C’è anche la recrudescenza della pandemia. Abbiamo il piano di resilienza, il contesto europeo in movimento, le vecchie politiche dell’austerity da superare. Tanti obiettivi per il governo in carica. Non tirerei Draghi per la giacchetta un giorno sì e l’altro pure».
L’alleanza con il Pd si farà fino in fondo? Non sarete subalterni?
«Un’intesa già sperimentata. Durante il Conte 2 abbiamo retto con grande efficacia nel momento più drammatico dal secondo dopoguerra ad oggi. Un dialogo privilegiato con prospettive di sviluppo. La subalternità? Schema inappropriato. Allora dovremmo dire che è più subalterno il Pd perché ha accettato il taglio dei parlamentari e il reddito di cittadinanza? È un concetto che respingo. Se lavoriamo con loro il punto non è l’egemonia. Forze politiche diverse, percorso diverso, ma proprio per questo possiamo arricchire davvero il campo progressista. Nella rispettiva autonomia».
Esisterà mai un campo largo da Renzi e Calenda fino a Leu, con Pd e 5 Stelle? Non è un’illusione numerica?
«Se lo allarghiamo troppo, più che un campo largo diventa un campo di battaglia. Viste anche le dichiarazioni quotidiane di alcuni che lei citava. L’azione politica presuppone coesione tra le forze: se si dilata lo schema di alleanza, si rischia di compromettere il disegno e l’efficacia. Lo sperimentiamo anche adesso. Ci sono alcune difficoltà nell’attuale esecutivo perché il perimetro rende complicata la compattezza verso i traguardi».
Eccoci. Cosa non la convince del governo in carica?
«Guardi: sta facendo bene su diversi fronti. A partire dal piano sanitario, dalla protezione dei cittadini. Alcune misure ci soddisfano di più, altre meno, la nostra critica è costruttiva. La politica non va esiliata. A volte siamo molto fermi fino a sfiorare il contrasto, come sulla riforma originaria della giustizia, un disegno che è stato migliorato grazie a noi. Così come sul reddito di cittadinanza, dove siamo intervenuti, e sul cashback. La strada dei pagamenti digitali ci ha consentito un balzo in avanti contro il nero e l’economia sommersa».
Il rapporto con il Pd
Noi subalterni? È uno schema inappropriato
Se lavoriamo con il Pd
il punto non è l’egemonia
Contribuiamo
all’area progressista
La legge elettorale va cambiata? E come? Si fa in tempo?
«Va cambiata e si può. Propendiamo per un sistema proporzionale con sbarramento al 5 per cento. Non possiamo permettere che la rappresentanza politica, già in crisi, possa essere compromessa da gruppi con bassi consensi. Le leggi elettorali non hanno a che fare con la perfezione, ma vanno adattate al contesto politico e sociale che si vive in quel momento. Allo stesso tempo rispettare le sensibilità, l’autonomia, e favorire le aggregazioni».
Si voterà nel 2022 o nel 2023?
«Non sono un aruspice. Ma noi 5 Stelle lavoreremo perché la legislatura arrivi a scadenza naturale. È una anomalia che i governi durino così poco. Dopo sei, sette mesi si comincia a dire: “Possibile che vada ancora avanti?”. Siamo in campo per dare stabilità agli esecutivi, abbiamo uno spazio politico per fare alcune cose. Non c’è un clima costituente da nuova forma di governo o da Repubblica semi-presidenziale. Ma almeno approviamo la sfiducia costruttiva e togliamo le crisi al buio».
Vuole approfittare della tregua, insomma.
«Sì, avrebbe senso. Dialogo possibile, vista anche la maggioranza così ampia. Larga intesa e largo consenso. Cercherò il confronto con gli altri leader. Cominciamo dall’idea della fiducia al governo con una seduta comune di Camera e Senato e dai regolamenti parlamentari per evitare che si possa passare dall’uno all’altro gruppo per convenienza anche economica. Va bene allontanarsi, va bene la libertà di dissenso, ma senza entrare in gruppi per avere vantaggi».
Lei è il premier della battaglia contro il Covid, la sua popolarità è ancora alta. Le scelte attuali del governo sono giuste?
Lo schieramento
Allargare il campo
fino a Renzi, Calenda
e Leu? Più che
un campo largo
può diventare un campo
di battaglia
«Il governo ha condotto bene la campagna vaccinale. Una linea da sottoscrivere. Importante è il metodo, l’ho sperimentato da presidente del Consiglio. Precauzione prima di tutto, non lasciare che il Covid corra. Adeguatezza e proporzionalità nelle scelte di fondo. Prevenire misure sovradimensionate, scegliere restrizioni dosate, garantire le libertà fatte salve le esigenze di sicurezza».
È più facile, dal suo punto di vista, avere rapporti politici con Matteo Salvini o con Giorgia Meloni?
«Con entrambi ci sono idee differenti e a volte anche molto distanti. Ma quando si tratta di avere un dialogo nell’interesse del Paese, il confronto va coltivato sia con Salvini che con Meloni».
Ha nostalgia di Palazzo Chigi?
«No. Direi di no. Quando ho cominciato ero consapevole che si sarebbe trattato di un incarico temporalmente definito, di una parentesi. Le assicuro che non ho mai pensato di vivere quest’esperienza troppo a lungo. L’ho lasciata serenamente. Credo di aver fatto il mio dovere e mi sento a posto con la coscienza. Non l’avete visto? È il motivo per cui sono uscito da Palazzo Chigi con il sorriso».