la Repubblica, 30 novembre 2021
Ecco perché Martino sconsiglia a Berlusconi il Quirinale
ROMA – «Ma chi glielo fa fare?». Antonio Martino, 79 anni di cui ventiquattro trascorsi fra parlamento e governo (come ministro degli Esteri e della Difesa), oggi si dice un “politico in disarmo”. Ma il suo affetto per Silvio Berlusconi è immutato dal giorno in cui il Dottore (così allora lo chiamava) gli consegnò la tessera numero due di Forza Italia. Motivo per cui acconsente a un’intervista in cui non lesina un consiglio all’ex premier: «Presidenza della Repubblica? Fossi in Silvio mi concentrerei su altro».
Ha parlato con Berlusconi?
«Sì ci siamo sentiti l’altro giorno. Gli ho accennato la questione del Quirinale, di cui mi ha riferito un amico. Silvio non mi ha detto che punta alla carica di Capo dello Stato.
Ma, onestamente, neppure il contrario».
Appunto. Qual è il suo giudizio?
«Ma su, Silvio possiede tante belle abitazioni, non riesce neppure a viverle tutte. Immobili non inferiori come valore al Quirinale. Ma cosa ci va a fare? Eppure quel mio amico mi ha detto che ci tiene».
Fuori dall’ironia, perché non è convinto dell’ascesa al Colle dell’ex premier forzista?
«Con la vita che ha fatto Berlusconi, e che ancora può fare, perché dovrebbe appassionarsi per un mestiere che consiste in baciare bambini, tagliare nastri e andare ai funerali?».
Beh, non è che tutti i Presidenti abbiano interpretato il ruolo in quel modo.
«È vero, alcuni hanno fatto palesemente politica. Violando il dettato costituzionale. L’unico Presidente che ho stimato è stato Luigi Einaudi, liberale nella sostanza e nella forma. Zoppo, piccolo di statura, parlava poco da buon piemontese ma aveva senso dello Stato e coraggio».
Non crede che i Presidenti, negli ultimi anni, abbiano semplicemente esercitato un ruolo di supplenza nei confronti di una politica debole?
«La fragilità della politica è stata una circostanza favorevole, ma ciò non toglie che ci sono state alcune forzature della Carta».
Tornando a Berlusconi: è possibile che viva questa scommessa come una rivalsa?
«Sì, e ne avrebbe anche ragione. In ogni caso, oggi è molto più apprezzato che in passato: a sinistra hanno capito che hanno sbagliato a fargli la guerra personale, anche attraverso la magistratura. Hanno capito che Berlusconi può essere antipatico o meno ma le sue caratteristiche ne fanno un uomo senza eguali. Ha quello che gli americani chiamano unicità di obiettivo. Quando si pone un traguardo si concentra finché non lo realizza, non è una dote da poco. In politica i problemi non arrivano in fila indiana, bisogna valutarli a uno a uno».
Crede che, in questo frangente, il fondatore di Fi abbia cattivi consiglieri?
«Le racconto un aneddoto. Un giorno Berlusconi mi disse: professore, se lei vale nove non deve farsi affiancare da un collaboratore che vale dieci, altrimenti le fa le scarpe. Gli risposi che i grandi leader sono stati spesso circondati da collaboratori che hanno fatto la loro fortuna. Volente o nolente, Berlusconi ha avuto la singolare incapacità di scegliere le persone giuste. Pensi ai presidenti delle Camere: Pivetti, Casini, Fini, non ne ha azzeccato uno. E al Senato l’unico formidabile è stato Pera».
Lei vede Draghi al Quirinale?
«Mario Draghi fa più comodo come presidente del Consiglio, il Pd non lo sosterrà, malgrado goda di un ampio credito che secondo me fa a pugni con il fatto di non avere mai affrontato un’elezione».
Vede, per la corsa al Colle, un’altra figura attualmente fuori dalla scena della politica?
«Il nome di Prodi, per fortuna, è tramontato. Una volta chiesi a un padre domenicano se preferisse un comunista cattolico o uno ateo.
Replicò senza esitazioni: l’ateo, perché ha un solo dogma».
Nessun pronostico?
«Non sono in grado di fare previsioni e non capisco chi si appassiona alla cosa. Ha ragione mia moglie: il funerale è molto meno doloroso che 7 anni al Colle. Io non mi occupo più di politica e quello che mi rimane della vita cerco di non farmelo rovinare da altro. Ora torno alla mie letture.
Legge ancora i giornali?
«Poco. Sto sulla Luna. Leggo il lunario».