la Repubblica, 30 novembre 2021
Daniel Ezralow alla Scala
MILANO – «Ho ritrovato lo stupore del bambino, alla Scala avevo ballato una volta per Alessandra Ferri e basta. Sognavo che qualcuno un giorno me lo chiedesse. È accaduto». Daniel Ezralow è al suo primo Sant’Ambrogio, tassello che mancava alla carriera onnivora di un coreografo che frequenta il cinema, la tv, la moda, ha firmato videoclip di artisti celebri e curato inaugurazioni di Olimpiadi, musical e Amici, festival di Sanremo e la 70esima edizione degli Oscar. A 65 anni è arrivata la Scala. Davide Livermore lo ha convinto con una visione.
«Quando mi ha chiamato, sei mesi fa, ero un po’ perplesso, non avevo mai, prima, fatto un’opera. Poi ha citato il film Inception e non ho avuto più dubbi». A lui la cura dei ballabili del terzo atto – oltre ad altri momenti di Macbeth – spesso tagliati ma in questo caso recuperati da Chailly. «Non pensavo al tradizionale “balletto” ma a qualcosa che sostituisse le parole in un blocco dello spettacolo in cui non ci sono voci. Questa è un’opera molto dialogata, ogni minuto c’è una voce. Noi abbiamo voluto riempire nove minuti e mezzo solo con il linguaggio del corpo. Sono nove minuti e mezzo – continua Ezralow – che esprimono una storia totale attraverso i corpi, una metafora dei mali che affliggono il nostro mondo, che partono da Trump e arrivano fino alla pandemia».
Discorso a parte l’idea di lavorare su un palco per una grande inaugurazione che andrà anche in diretta televisiva. «Fin dall’inizio ho lavorato con il pensiero rivolto al pubblico del teatro, non a quello della tv, ma Davide mi ha detto “giriamolo come se fosse un film”, naturalmente quello è compito suo, è il regista ma mi ha stupito l’efficacia con cui è riuscito a fondere questi due insiemi». Microcamere, realtà aumentata, videowall: un progetto che Ezralow definisce “un rockshow” ma, sostiene, tutto questo non entra affatto in conflitto con la grande tradizione del Piermarini. «È una evoluzione alla quale la Scala non può sottrarsi, quella di aprirsi alle nuove tecnologie e incrociarsi con altri media, perché significa aprirsi ai giovani senza tradire la propria natura. Qui ci saranno i videowall e Chailly sul podio: non sono due modalità in contrasto ma due mondi che si sposano e guardano al futuro e a una nuova generazione di pubblico».