il Giornale, 30 novembre 2021
Il Macbeth della Scala onirico, distopico, digitale
«Ho deciso di far diventare la Prima della Scala: cinema dal vivo». Parola di Davide Livermore il regista che con Macbeth, l’opera di Verdi in scena a Milano il 7 dicembre, firma la sua quarta inaugurazione di stagione scaligera. Sarà la n. 4 per il baritono Luca Salsi (Macbeth), la n. 5 per il soprano Anna Netrebko (Lady Macbeth), per il tenore Meli (Macduff) e per il basso Ildar Abdrazakov (Banco). Una squadra rodata voluta dal direttore d’orchestra Riccardo Chailly, il padrone di casa-Scala. Che apprezza le sperimentazioni in palcoscenico: muri a led riproducono foreste incantate, le ciminiere di Battersea, skyline di una megalopoli globale e infernale, come infernale è l’ascensore che conduce ai piani alti del potere.
E di fatto, il tema è la scalata al potere. Trattandosi di una lettura contemporanea: quale potere? «Potere, e punto. Abuso di potere – taglia corto Livermore – non facciamo cronaca, ma arte». La scenografa Cristiana Picco, dello studio Giò Forma, parla di grattacieli – e ne vedremo parecchi – «simbolo di potere per eccellenza del ’900, frutto dell’edonismo finanziario di pochi utenti ma visibile a tutti».
Una cosa è certa. È uno spettacolo di vertigini verticali e di trame labirintiche, costruito alla vecchia maniera, grazie all’alto artigianato italiano, ma anche sfruttando le tecniche dell’arte digitale. I falegnami dei laboratori scaligeri hanno riprodotto la facciata (mai realizzata) di un palazzo di Portaluppi che ha per simbolo il labirinto, questo stesso pattern è uno dei nuclei di una scenografia digitale con video immagini. Bene le conquiste dell’alta tecnologia, ma quando avverte un rumore e gli viene spiegato che è la simulazione del vento, allora Chailly ferma l’orchestra e si appella a Verdi: «Qui il compositore vuole il silenzio». E silenzio sarà.
Siamo alla stretta finale delle prove della Prima della Scala: da godersi anzitutto via schermo, di cinema e tv, Rai 1 fa la diretta alle ore 18. In teatro non si coglierà tutta la gamma di effetti prodotti dalle microcamere sistemate nell’ascensore e nell’automobile guidata dalla coppia criminale Macbeth e Lady Macbeth. Pare che sarà di grande effetto, in tv, la scena del sonnambulismo di Lady Macbeth con Netrebko che canta e recita a cinque metri d’altezza salda al cornicione grazie alla cintura anticaduta. Una Netrebko che nel ballabile (coreografie di Daniel Ezralow) sarà coinvolta anche in passi di danza piuttosto impegnativi. Il soprano russo, che alla conferenza veste un abito tempestato di mega «$» di perle, è donna dal temperamento di fuoco, tenace e volitiva, confessa – tuttavia – che «è una produzione fra le più complicate che abbia affrontato. Ci sono tanti cambi di scena, di abito, tanti ballerini, tanti cantanti. Cose possibili solo in teatri come la Scala», dice. È lei la spietata consorte, «la forte della coppia, Macbeth ne è soffocato. Lui riesce a uccidere in battaglia ma non nella vita. Quando, istigato dalla moglie, ammazza il re inizia a vedere pugnali che volano, sangue, streghe», osserva Salsi, nel ruolo del titolo. Chailly fa morire Macbeth in scena, adottando la soluzione della edizione del 1847 (noi vedremo invece l’opera nell’edizione del 1865). Lo fa anche perché ha «a disposizione un cantante capace». Quanto a Lady M, «abbiamo lavorato molto sulla ricerca dei colori, talvolta sinistri, piegando la timbrica alla sua volontà omicida della donna. Chiedo ad Anna – ancora Chailly – un grande sforzo vocale. E vedrete cosa succederà nella scena iperbolica del sonnambulismo». Del resto, aldilà delle soluzioni scenotechiche la magia e il sovrannaturale di quella scena ha il suo sigillo nel re bemolle finale, sovracuto e pressoché impossibile (la prode Anna lo eseguirà?).
Macbeth muore in scena ucciso da Macduff (Meli), «però non è il salvatore tant’è vero che chiuderò il popolo dietro a un cancello, in una sorta di gabbia. Continuerò a fare quel che faceva Macbeth: abuserò del potere» spiega Meli. Del resto, la storia si ripete. È solo un «finto nuovo che si sostituisce al vecchio» dice Livermore. La speranza è affidata al figlio di Banco, Fleanzio, «il giovane capace di portare un nuovo modo di intendere la comunità», questo il finale di un’opera che parla alla contemporaneità, «storia di tiranni e di modi tirannici di gestire il potere. Grazie a Verdi vediamo l’effetto di questo approccio, ed è concentrato in Patria oppressa, il coro che apre il quarto atto e racconta cosa succede a una società quando viene gestita in modo dittatoriale. Mettiamo in scena un incubo, l’onirico, una realtà distopica. Una sorta di Inception», dice il regista che per la coppia ha pensato a un appartamento che è il trionfo del kitsch. Fra i tanti oggetti spunta anche la riproduzione di una pantera di Rembrandt Bugatti. Kitsch anche i voli d’airone ricamati su uno degli abiti di Lady M: di rosso vestita. Molto molto parvenue.