il Giornale, 30 novembre 2021
La vita dalla A alla Zeta secondo Ugo Cornia
Q uesto libro di Ugo Cornia fa l’effetto di quell’altro libro di Georges Perec che si intitolava Je me souviens, cioè «Mi ricordo», in cui iniziavi a leggere le sue cose da nulla e dopo poche righe partivi con la testa a blaterare reminiscenze assurde e bellissime. Così, questo La vita in ordine alfabetico (La nave di Teseo, pagg. 224, euro 17), ti racconta di documentari, astinenza, automobili, stelle cadenti e tante altre azioni e pensieri, dalla A alla Z, selezionati dall’autore per comporre una propria autobiografia. Già dalle prime righe chi legge viene contagiato e, quasi per imitazione, parte con il suo personale ordine alfabetico esistenziale.
Cornia ha una scrittura così: contagiosa. Ma in questo romanzo, anche se non si può parlare espressamente di romanzo, sembra avere una sua idea ben delineata di letteratura che parte, grossomodo, da L’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert e arriva al memoriale bislacco; e per bislacco intendo quel particolare modo di procedere nel pensiero che è tipico della vanvera e ha al suo interno illuminazioni di genio. Si tratta quindi di un vocabolario ragionato in cui compare di tutto, dalle zecche alle blatte, dal cavallo di Mark Twain alle epidemie e molto altro come dicono spesso in tv lasciando intendere meraviglie. E molto altro, quindi, dicevo. Tutto scorre liscio e Cornia si prende gioco dei tanti stereotipi di cui siamo fatti un po’ tutti offrendoci uno sguardo diverso sulla nostra vita. A partire dalla sua. E funziona.
Una volta ho visto Cornia al bar Burrasca di Sermide perché doveva fare una presentazione in biblioteca. Era il suo primo libro per Sellerio intitolato Sulla felicità a oltranza e prima di cena si stava bevendo un digestivo. Anche in quel libro d’esordio c’era tanta autobiografia, solo che invece di essere ordinata come in questa Vita in ordine alfabetico, era tutto mescolato. Con Ugo c’era una tipa sulla sessantina, pittoresca, con un vestito lungo sgargiante e originale. Somigliava a un’attrice comica di teatro, né bella né brutta, con una parlata tutta sua, con un cappello enorme a falde larghe, nero, e pure lei si faceva il digestivo prima di cena. Io li guardavo, e cercavo di concentrarmi perché di lì a poco avrei dovuto presentare Cornia. Adesso che ci penso il bar Burrasca è descritto con dovizia di particolari da Gianni Celati in Verso la foce, e chissà se andammo a bere in quel posto proprio per quel motivo o se era stato un caso. Sta di fatto che Cornia c’entra molto con l’opera e lo sguardo di Celati. Sta di fatto, oltretutto, che io bevvi un semplice caffè, e mentre loro due erano usciti per fumare io me ne stavo là impalato, vicino al bancone, con la tazzina in mano, e guardavo. Allora non sapevo bene cosa stavo vedendo, ma oggi ripensandoci mi convinco che stavo adocchiando Cornia con a fianco la personificazione della Letteratura secondo Cornia: qualcuno/qualcosa, non più giovane, con una sua personalità, che beve un digestivo prima di cenare. In altre parole la letteratura, secondo quel che traspare dall’opera di Cornia, se ne sbatte delle convenzioni e fa un po’ quel che le pare. A volte imbellettata, altre volte no, mimetizzata, originale, sicuramente affascinante.
Così, leggendo a ritroso le sue opere, c’è il Cornia che rivede in chiave corniana le Operette morali, c’è il Cornia che rilegge in chiave corniana le favole greche e latine, c’è il Cornia che rilegge la Batracomiomachia. Ma non lo dà a vedere, perché sa che la maggior parte della gente s’intimorisce se trova parole difficili e colte, e allora anche lui se ne sbatte e fa un po’ quel che gli pare. Insomma mi sa che l’autore si prenda un po’ gioco della cultura alta per portarla rasoterra, in modo più umano, e ci scherza sopra con quella comicità tragica e casuale, ma non involontaria, che gli fa prendere pezzi di roba tosta e shakerarli con una giusta dose di filosofia e di cazzeggio. Che poi era un po’ quello che facevano i tipi dell’OuLiPo no? Che poi era un po’ quello che faceva Georges Perec nel suo Vita istruzioni per l’uso al cui titolo ha sicuramente attinto l’autore modenese per formulare la sua idea di mondo senza fare un iperromanzo ma raccontando la nostra, e la sua, ipo-vita.
In questa sua rivisitazione non c’è nulla di postmoderno, non gigioneggia, non si compiace, ma non è questo il discorso. Più che altro quel che ho notato è questo: c’è troppa gente che scrive alla Cornia perché all’apparenza la sua facilità di scrittura può essere imitata. Ma non è così, ragazzi. Cornia per arrivare a quella sintesi c’ha lavorato 20 anni. Cornia per arrivare a quel trastullo ha fatto per anni l’epistemologo all’Università di Bologna. Quindi, per favore, lasciate a Cornia quel che è di Cornia e sceglietevi un altro beniamino, e caso mai continuate a leggere la vita secondo Ugo Cornia.