Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2021
L’Estonia accoglie i nomadi digitali
Dopo la residenza elettronica, il passaporto per nomadi digitali che consente di lavorare all’estero, da remoto, per un anno. A gettare il cuore oltre i confini di un territorio che conta appena 1,3 milioni di abitanti è ancora una volta l’Estonia, forte dell’elevatissimo livello di digitalizzazione del Paese.
Il progetto in realtà è stato lanciato più di un anno fa, ad agosto del 2020, e i primi bilanci fanno i conti con la pandemia di Covid, che ha limitato e limita tuttora gli spostamenti. A spiegare genesi e finalità del programma è Ruth Annus, responsabile del Dipartimento per le politiche di cittadinanza e immigrazione del ministero dell’Interno, promotrice del progetto e già tra i fondatori del programma di e-residency, che celebrerà a dicembre i sette anni di vita con circa 85mila residenti elettronici da oltre 170 Paesi.
«L’obiettivo principale del programma – spiega al Sole 24 Ore – è “ingrandire” l’Estonia con un altro progetto innovativo di e-goverment e attrarre nomadi digitali, in particolare lavoratori qualificati, che creano diversità e arricchiscono la comunità. Usano ovviamente anche i servizi in Estonia, ma l’impatto economico non è il primo motore del progetto».
Prima del varo di questo progetto pilota, chi desiderasse lavorare in Estonia (ma anche altrove, a dire il vero) aveva bisogno di un datore di lavoro nel Paese scelto, a meno di utilizzare visti turistici e lavorare da remoto, muovendosi però in una zona grigia, al limite della legalità. Tallinn aveva già messo a punto un altro passaporto ad hoc, quello per le start-up, mirato agli imprenditori che volessero avviare un’azienda nel Paese baltico, ma con questa iniziativa è andata oltre. «Il visto turistico è pensato per visitare l’Estonia, non per lavorare qui – chiarisce ancora Ruth Annus -, quello per svolgere attività lavorativa è adatto a persone con contratti fissi, non il profilo tipico dei nomadi digitali, che possono essere lavoratori di qualunque tipo indipendenti dalla localizzazione. Abbiamo perciò modificato la legge per fornire loro una cornice legale e attrarre così persone che vogliono lavorare legalmente mentre sono all’estero, senza preoccupazioni».
Il visto, che si richiede in Estonia o presso le ambasciate estoni, dà diritto a lavorare fino a un anno nel Paese baltico e a muoversi liberamente nello spazio Schengen per 90 giorni su 180. Possono presentare domanda persone con un contratto di lavoro all’estero, imprenditori la cui azienda è registrata all’estero (o che forniscono servizi prevalentemente a clienti la cui attività si svolge all’estero) o liberi professionisti con clienti sempre fuori dall’Estonia. Uno dei requisiti imprescindibili – oltre alla capacità di lavorare da remoto con strumenti tecnologici idonei – è dimostrare di aver percepito, nei sei mesi precedenti la richiesta, un reddito lordo di almeno 3500 euro, il che ovviamente delimita la platea di aspiranti.
Ma perché un nomade digitale dovrebbe scegliere l’Estonia e non, piuttosto, un paradiso naturale come le Barbados, meta particolarmente ricercata in tempi di Covid? A marcare la differenza è Katrin Vaga, responsabile pubbliche relazioni per l’e-residency: «Noi – chiarisce – non abbiamo lanciato il passaporto per nomadi digitali per incrementare il turismo. Abbiamo un piano a lungo termine, vogliamo che più persone sperimentino la società digitale e le nostre infrastrutture: il 99% dei servizi pubblici è online, tutto è ultrasemplificato, Internet è gratis ovunque e l’accesso alla rete e a un computer è nei fatti un diritto. Aggiungo che, prima di lanciare la campagna di marketing e comunicazione con Hannah Brown (la responsabile dei contenuti web per l’e-residency, ndr), abbiamo commissionato un sondaggio negli Stati Uniti a Opinium Research sui motivi che possono influenzare la scelta del luogo da cui lavorare da remoto. E le risposte sono state sorprendenti: la gente non vuole spostarsi solo dove c’è bel tempo, ma in luoghi di interesse culturale o con un tasso di criminalità basso».
Oltre i 183 giorni di permanenza in un anno, il nomade digitale è considerato anche fiscalmente residente in Estonia e dovrebbe dunque – la casistica può variare ed è comunque ancora in via di definizione – pagare le tasse nel Paese baltico. Ma il gettito aggiuntivo non è considerato a Tallinn il vero valore aggiunto. «Ovviamente – sottolinea ancora Vaga – guardiamo ai benefici economici diretti, ma anche a quelli indiretti di entrambi i programmi (residenza elettronica e passaporto per nomadi digitali). Se un imprenditore o un professionista viene qui, interagisce col nostro ecosistema di startup, incontra persone, tiene conferenze…tutto questo scambio di conoscenze è davvero positivo per la nostra economia, dove peraltro già un terzo delle startup è creato da residenti elettronici provenienti dall’estero. Senza contare – conclude – l’accresciuta conoscenza del “brand” Estonia, il valore intrinseco che deriva dal mostrare al mondo, comprese le economie più grandi, che è possibile essere un Paese digitale veramente sostenibile e di successo».
La pandemia finora non ha aiutato l’iniziativa: dal 1° agosto 2020 al 31 ottobre scorso sono state presentate 132 richieste di passaporto per nomadi digitali (con statunitensi, russi, canadesi, australiani e ucraini tra le nazionalità più rappresentate) a fronte di aspettative ben più ambiziose, circa 2000 richieste all’anno. Ma se il Covid ha limitato finora gli spostamenti, ha anche sdoganato smart working e utilizzo della tecnologia. Presupposti fondamentali per far decollare in futuro il progetto estone.