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 2021  novembre 29 Lunedì calendario

Intervista a Fabio De Luigi

Sbarca oggi alle 21.15 su Sky Cinema Uno (anche in streaming su Now e on demand) E noi come stronzi rimanemmo a guardare, il film di Pif presentato in anteprima alla Festa di Roma. Titolo estremo («Rubato ad Andrea Camilleri che si riferiva all’ascesa di Silvio Berlusconi», rivela il regista) per una commedia distopica decisa a fare il contropelo alla nostra vita governata dalla tecnologia: il protagonista, interpretato da Fabio De Luigi con zaino e bici, è infatti un manager rampante che viene licenziato dall’algoritmo da lui stesso inventato per ottimizzare il lavoro. Escluso da qualunque nuovo impiego perché over 40, lo sventurato finirà per riciclarsi come rider sottopagato e schiavizzato, s’innamorerà di una ragazza-ologramma (Ilenia Pastorelli) e con lei cercherà di fuggire da app, algoritmi, prigioni digitali. De Luigi, 54 anni, all’attivo commedie di successo come Maschi contro femmine, Il peggior Natale della mia vita, Aspirante vedovo, Soap opera, Tiramisù, Dieci giorni senza mamma, presta al film la propria comicità stralunata ed elegante, alla Peter Sellers, i suoi impacci, il suo tocco sempre misurato e irresistibile. In attesa di tornare sugli schermi a Natale con il fantasy La Befana vien di notte 2 – le origini e poi, anche come regista, con Tre di troppo.
Che rapporto ha con la tecnologia?
«Molto moderato. Non sono su Facebook né su Instagram. Mi sono iscritto solo a Twitter che uso di tanto in tanto come una finestra per capire gli umori del mondo».
Vuole snobbare vero i social che i suoi colleghi usano invece compulsivamente?
«Non è così. Innanzitutto non sento il bisogno di condividere con tutto il mondo ogni singola azione della mia giornata. E poi i social radicalizzano qualunque opinione e finiscono per alimentare lo scontro. Se scrivi Buon giorno a tutti, rischi che l’Associazione Maltempo ti accusi di discriminare le nuvole... Sulla rete sei portato a cercare chi la pensa come te, mentre il confronto con chi ha un’idea diversa rappresenta una ricchezza. Insomma, i social alimentano le tifoserie».
A cosa si riferisce?
«Al dibattito sul vaccino, ad esempio, o alla politica che dimentica il confronto per cercare lo scontro. Senza contare che un mondo governato dagli algoritmi ci spinge a rappresentarci al meglio, secondo il filtro di un’utopistica perfezione. E non c’è spazio per i fallimenti che invece ci aiutano a crescere come mi ha insegnato il baseball, uno sport che ho praticato in passato e che di una partita considera anche gli errori».
Ha girato dunque un film di denuncia?
«Parlerei piuttosto di un campanello d’allarme sul futuro che ci aspetta se continueremo a consegnarci senza reagire alla tecnologia che, per carità, ci ha aiutato a non perdere i rapporti umani durante il lockdown ma non può diventare una dittatura, tantomeno sfruttare il lavoro dei più deboli».
La pandemia ha cambiato, cambierà le regole della commedia?
«È presto per dirlo. Stiamo ancora vivendo un periodo in cui risulta difficile raccontare la contemporaneità. Io sono felice di girare film d’intrattenimento mainstream, cioè per il grande pubblico, ma quando posso mi avventuro volentieri in altri territori come il film d’azione Gli uomini d’oro».
Che ruolo avrà in La befana vien di notte 2, interpretato anche da Monica Bellucci?
«Un personaggio inedito di cattivo: sono un barone molto crudele che subisce mutazioni, non solo estetiche. Mi sono molto divertito».
Da comico, vede come una minaccia la correttezza politica dilagante?
«Oggi non faccio tv ma vedo in giro un perbenismo che mi fa sorridere. Il sacrosanto dovere di tutelare le minoranze e le diversità non può trasformarsi in autocensura. Guai a perdere la misura, si rischia di raggiungere risultati imbarazzanti».
Sempre felice di vivere a Sant’Arcangelo di Romagna?
«La provincia ha pregi e difetti. Per me funziona perché rappresenta quell’elastico invisibile che mi riporta sempre a casa».
Anche lei, come i grandi comici, nella vita è una persona malinconica?
«Ho alti e bassi come tutti».