il Fatto Quotidiano, 29 novembre 2021
Conclave, il complottismo della mafia di San Gallo
Ci risiamo con il complottismo paramassonico della mafia di San Gallo che avrebbe fatto eleggere papa Francesco. Per i clericali di destra, la mafia di San Gallo è la cupola progressista che detta legge in Vaticano.
Breve sunto: tutto iniziò nel 1996 a San Gallo, appunto, in Svizzera, quando l’allora vescovo locale Ivo Fürer promosse, con la benedizione del cardinale Carlo Maria Martini, un consesso di prelati per discutere del futuro della Chiesa. Per un decennio intero, fino al 2006, il gruppo si riunì regolarmente e, oltre a Martini, c’erano cardinali influenti come i tedeschi Walter Kasper e Karl Lehmann (1936-2018), il belga Godfried Danneels (1933-2019), l’inglese Cormac Murphy- O’Connor (1932-2017), l’italiano Achille Silvestrini (1923-2019). Pochi anni fa fu Danneels a rivelare che quel gruppo che discuteva liberamente si era auto-definito “mafia”.
Spiegate le origini, è da poco uscito un libro che sta spopolando nel variegato network dei farisei anti-bergogliani. Lo ha scritto una studiosa di nome Julia Meloni (che coincidenza eh?) e lo ha pubblicato una casa editrice americana tradizionalista della Carolina del Nord, la Tan Books. S’intitola The St. Gallen Mafia: exposing the secret reformist group within the Church, La mafia di San Gallo: smascherare il gruppo riformista segreto all’interno della Chiesa. La tesi complottista è questa: sin dal Conclave del 2005, la mafia di San Gallo aveva individuato in Bergoglio il candidato ideale per portare avanti il progetto riformista nella Chiesa. Solo che la stessa Meloni non manca di notare, in un’intervista rilanciata da vari siti clericali, che il cardinale Martini nutriva forti dubbi sul “collega” argentino. Entrambi gesuiti, certo, ma Bergoglio nella Compagnia era noto per le sue posizioni troppo moderate.
In ogni caso nel Conclave che doveva eleggere il successore di Giovanni Paolo II, l’arcivescovo di Buenos Aires fu a sorpresa l’avversario di Ratzinger. La candidatura però non sfondò e a quel punto sarebbe stato proprio Martini a far convergere i voti progressisti sul cardinale tedesco. Per Meloni, lo fece per stoppare un’eventuale elezione di Camillo Ruini. In base però al famoso scoop del vaticanista Lucio Brunelli su Limes, il capo interventista della Chiesa italiana non fu mai realmente in gioco. Alla prima votazione del 18 aprile, Ratzinger prese 47 voti, Bergoglio 10, Martini 9 e Ruini 6. Alla seconda del giorno dopo, il voto si era già polarizzato: Ratzinger 65, Bergoglio 35. La quarta fu quella decisiva: Ratzinger 84 e Bergoglio 26.
Non solo. Meloni sostiene che Martini – oltre a spingere Ratzinger alle dimissioni nel giugno del 2012 (l’arcivescovo emerito di Milano morì nel successivo agosto) –, sarebbe stato favorevole all’elezione di Angelo Scola dopo la rinuncia di Benedetto XVI nel 2013. Ossia del cardinale ciellino alfiere del “ruinismo” di destra che poi fu davvero l’avversario di Bergoglio nel Conclave del 2013 (al primo scrutinio Scola prese 35 voti contro i 20 dell’argentino). Possibile mai? In sintesi: al leader della mafia di San Gallo, Martini, non piaceva il confratello gesuita Bergoglio, epperò questi è diventato il papa che porta avanti il programma progressista del gruppo. Che complotto era?