Domani, 29 novembre 2021
Intervista a Pasquale Cascella, ex portavoce di Napolitano
Pasquale Cascella se li ricorda bene i giorni in cui maturò la richiesta di un bis, l’unico bis, al “suo” primo presidente della Repubblica. Cascella era «consigliere per la stampa e la comunicazione e direttore dell’ufficio stampa della presidenza della Repubblica Italiana», portavoce di Napolitano insomma, e amico caro e consigliere. Lo era dai tempi in cui Napolitano era stato presidente della camera, fra il ‘92 e il ‘94.
Dopo Cascella è stato portavoce di Massimo D’Alema premier, e capo ufficio stampa dei Ds alla camera. Insomma: la sua è una lunga conoscenza dei palazzi e dei loro ingranaggi. Quando Napolitano stava per concludere il primo mandato, Cascella accetta di candidarsi sindaco a Barletta, la sua amata città natale. E questa è indicata come la prova regina che il “suo” presidente non aveva alcuna intenzione di concedere il bis.
È così, Cascella? Gli scatoloni fatti provano che eravate pronti a lasciare il Quirinale?
Erano già stati spediti in quello che sarebbe diventato l’ufficio di Napolitano senatore a vita. Era tutto pronto.
E Napolitano aveva fatto sapere che non avrebbe voluto fare il bis. Come Mattarella?
Sì, in discorsi pubblici e anche privati. Ma voglio dire una cosa. Il “precedente Napolitano” non esiste, esiste semmai “l’eccezione Napolitano”. Basta rileggersi il discorso che fece al secondo insediamento. Il mandato del presidente è unico, e questa è una convinzione costituzionale, anche se non la si può definire una regola. Lo disse chiaramente. Il suo era un atto eccezionale, non escluso dalla Carta ma ammesso solo in una condizione di eccezione.
Quali furono passaggi verso quella scelta?
La situazione emergenziale era determinata dall’esito delle elezioni, che non avevano consentito di formare una maggioranza. La maggioranza precedente, quella che si era creata attorno a Mario Monti, era crollata nel momento in cui Monti aveva deciso di costituire una sua forza politica e di presentarsi in competizione. Non ne ho mai capito la ragione vera. Comunque questo accelerò la frantumazione, con i due schieramenti, quello di centrodestra e quello di centrosinistra, non più in grado di esprimere una maggioranza.
Napolitano aveva consigliato a Monti di non farlo.
Certo, e certamente quello fu un segnale deleterio perché non consentì di approvare una riforma elettorale, che pure era nel mandato di Monti, e non frenò l’ondata populista che in quel momento si esprimeva nei Cinque stelle. Quello è il momento dell’incubazione della trasformazione populista anche della Lega. L’equilibrio fra i due schieramenti, che aveva consentito di tenere in piedi il paese in una situazione economica drammatica, non tenne più.
Ci sono similitudini con la situazione di oggi?
Qualche similitudine c’è, ma c’è anche un differenza sostanziale. Oggi Draghi non ha velleità di giocare in proprio sul piano politico. E Mattarella quello che avrebbe potuto fare l’ha già fatto con l’incarico a Draghi, che sta assolvendo al compito di tenere assieme le forze dei due schieramenti, questa volta con dentro i Cinque stelle anche se in maniera riluttante. Per questo, al di là dei giochetti, come si può immaginare una soluzione per la presidenza della Repubblica che rompa l’equilibrio che Mattarella è riuscito a realizzare con Draghi?
Cioè solo Mattarella può succedere a Mattarella?
No. Dico che quando sul presidente della Repubblica si mette insieme una maggioranza, poi questa non può rinnegare la propria prospettiva continuando a sostenenere il governo “senza formula politica”.
Secondo te Mattarella accetterà il bis?
Alla presidenza della Repubblica si viene candidati, non ci si può nemmeno sottrarre. Come è accaduto per Napolitano. Ma una differenza stavolta c’è. Napolitano si è trovato nel mezzo dell’emergenza esplosa con i franchi tiratori prima sul nome di Marini, la soluzione istituzionale, poi su quello di Prodi, a maggioranza politica. Mattarella ha dovuto già misurarsi con le conseguenze della crisi del sistema politico precostituendo una soluzione che già teneva conto dello sbocco in una legislatura nuova. Nuova in tutti sensi perché avrà meno parlamentari e dovrà consolidare con il Pnrr il ruolo che l’Italia ha acquisito in Europa. L’ipotesi che si arrivi a una candidatura Mattarella emergenziale questa volta non ce la vedo. Sarebbe una offesa alla lungimiranza costituzionale di Mattarella che una via di uscita dalla contrapposizione politica l’ha già indicata, essendo l’artefice dell’equilibrio possibile nel momento in cui la legislatura aveva già consumato le due opposte opzioni emerse dal voto politico del 2018, ovvero il governo gialloverde e quello giallorosso. Altre soluzioni rispetto a quella di Draghi, al di fuori delle “formule politiche”, non ce n’erano. E temo non ce ne sarebbero a seguito del voto di una qualsivoglia maggioranza politica raccattata ad uso Quirinale. Lo sbocco verso le politiche va ancora costruito con una sorta di legittimazione reciproca.
Che significa?
Che alle forze politiche tocca ricercare la soluzione all’emergenza, non incrementarla: devono fare in modo che l’approccio alla prossima legislatura possa essere “normale”, e quindi consentire finalmente la democrazia dell’alternanza: una soluzione politica, non populista, che gestisca il Pnrr nell’interesse generale e nel solco dell’Europa. Sono, ripeto, le tre condizioni che Mattarella aveva già indicato con Draghi. Indubbiamente il nome, quale che sia, deve essere riconosciuto come coerente quantomeno dalle forze politiche, tale da garantire il passaggio non solo alla gestione dei fondi del Pnrr ma anche all’assetto istituzionale destinato a mutare.
Dopo il voto niente più essere larghe intese?
Dopo dieci anni, non mi sembra possibile immaginare un’altra soluzione eccezionale. Questa volta la politica si deve far carico di costruire per tempo una soluzione dei prossimi equilibri politici.
Quindi dopo il Colle si andrà al voto?
Penso nell’autunno del 2022. A quel punto nessuno potrà non approfittare di fare campagna elettorale, dentro e fuori dal governo.
Torniamo a quell’aprile del 2013. Marco Damilano, nel suo libro «Il presidente», descrive la rielezione di Napolitano come «lo spettacolo di un sistema politico obbligato ad aggrapparsi a un uomo arrivato alla quarta età per salvarsi dal precipizio, un cortocircuito politico-istituzionale senza precedenti.Come avete vissuto le bocciature di Franco Marini e Romano Prodi dal Colle?
La figura di Marini era stata individuata per prendere i voti di Forza Italia già al primo turno. Eppure non funzionò, i franchi tiratori cominciarono a manifestarsi lì. E si capì subito che i franchi tiratori erano abbastanza diffusi. Va considerato per tempo, prima dell’elezione. Anche un accordo largo come quello che era avvenuto per Marini può correre dei rischi. I 101 invece, come ha detto lo stesso Prodi di recente, erano di più, forse 120, perché nel segreto dell’urna qualche movimento c’è sempre. Comunque nessuna delle correnti, né quella di D’Alema né quella dei cattolici delusi dalla mancata elezione di Marini, né quella di Renzi disponeva di cento voti per far fuori Prodi.
Qui avete capito che il parlamento si sarebbe rivolto a Napolitano?
Tutto si consumò nel filo di poche ore. Sapevamo che la candidatura di Marini era stata abbandonata, e secondo me anche perché si pensava a un diverso equilibrio istituzionale in vista del futuro presidente del consiglio. Prodi era stato inserito nell’elenco dei dieci papabili di M5S, e ci fu chi pensò che i Cinque stelle si sarebbero tranquillizzati e avrebbero dato il consenso che in un primo momento avevano negato a Bersani.
Bersani fu tradito da M5S? Napolitano non gli dette un mandato pieno.
Bersani ebbe un preincarico che non approdò a nulla perché fu maltrattato al tavolo con i Cinque stelle. Lui però scommetteva sul fatto che quella loro resistenza si sarebbe affievolita. Sono convinto che si sbagliasse. E poi si è visto. In quel caso venne meno la politica, la ricerca di una soluzione che garantisse un po’ tutti. Ma è quello che si rischia anche in questi frangenti. Chi vuole Mattarella deve darsi una mossa per arrivare a una candidatura concordata e motivata al primo turno. Ma questo vale anche per chi vuole Draghi. Dopo rischiano tutti e si rischia tutto.