Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2021
Tre saggi sul pessimo stato di salute del Pianeta
Non so se la COP26 di Glasgow sia stata un parziale successo, oppure un fallimento, tuttavia ha riportato alla ribalta un problema planetario che nessuno è autorizzato ad ignorare. Gli esseri umani, con le loro molteplici attività, sono stati in grado di modificare il nostro habitat. Ce lo illustra Gianluca Lentini nel suo Storie del clima dove ripercorre cinque millenni di rapporto tra uomo e clima fino ad arrivare all’epoca attuale, che viene spesso chiamata Antropocene, proprio ad indicare l’impatto collettivo dell’umanità sull’ambiente. Le foreste sono sparite per fare spazio a campi coltivati ed a pascoli, i fiumi sono stati sbarrati con dighe, le terre ed i mari sono soffocati dai rifiuti inquinanti. Come se tutto questo non bastasse, la composizione dell’atmosfera è stata modificata dall’immissione di quantità sempre maggiori di anidride carbonica e di metano. Se nel 1950 venivano prodotti 5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, adesso siamo arrivati a 35.
Benché l’anidride carbonica sia una componente minoritaria, ora responsabile di poco più di 400 parti per milione, della nostra atmosfera, il clima sul nostro pianeta è un sistema estremamente complesso dove anche un piccolo cambiamento può avere effetti sproporzionatamente importanti. Inoltre, quando uno dei parametri in gioco cambia, gli effetti non sono quasi mai immediati. Comunque, presto o tardi, il conto verrà presentato. Ce ne rendiamo conto quando le estati diventano sempre più calde, gli incendi sempre più frequenti e devastanti, le siccità sempre più prolungate, le piogge sempre più sporadiche ma intensissime, le alluvioni sempre più catastrofiche. Sono tutte conseguenze del riscaldamento globale dovuto all’utilizzo di combustibili fossili che, bruciando, liberano anidride carbonica, un gas che, una volta prodotto, resiste a lungo nella nostra atmosfera contribuendo ad intrappolare calore. L’anidride carbonica, insieme al metano, sono i gas serra per eccellenza e sono loro i responsabili del continuo aumento delle temperature.
È almeno del 1988 che si parla dell’effetto serra e delle sue nefaste conseguenze. Storie del clima termina con il resoconto della prima denuncia pubblica dell’imminente pericolo mentre Terra Fragile racconta il rapporto tra l’umanità ed il cambiamento climatico attraverso una serie di bellissimi reportage apparsi sul «New Yorker» nel corso degli ultimi trent’anni. Il primo, intitolato Riflessioni: la fine della natura, è del 1989 e fa ben capire come l’entità del problema fosse già chiarissima, mentre i gli ultimi due sono del 2019. Trent’anni di inchieste su ondate da calore, incendi, sforzi di adattamento, tentativi di reinventare le nostre città per renderci meno vulnerabili agli impatti molteplici, e sempre più preoccupanti, del cambiamento climatico. Questa emergenza globale non poteva sfuggire all’occhio vigile delle Nazioni Unite e, nel 1992, 154 nazioni sottoscrissero lo UN Framework on Climate Change proprio per tagliare le emissioni ed evitare che modificassero il clima. Nel 1995 si è tenuta la COP1 a Berlino, ma si è dovuto aspettare il 2015 perché, alla COP21 di Parigi, 194 nazioni si impegnassero a limitare il riscaldamento globale tra 1,5 e 2°. Purtroppo, però, le azioni concrete sono state insufficienti, così ora siamo ancora a discutere su come intervenire e, soprattutto, chi debba pagare il conto perché il riscaldamento globale colpisce in modo particolare i paesi del terzo mondo, più poveri e più esposti all’aumento del livello del mare ed alle prolungate siccità.
Inoltre, le dichiarazioni di principio sul taglio delle emissioni, quindi sulla decarbonizzazione delle economie, si scontrano con la fame di energia di giganti come India e Cina che utilizzano pesantemente il carbone per spingere la loro crescita economica, a scapito della salute del pianeta.
Di sicuro, però, è difficile puntare il dito su questo o quel paese perché la responsabilità cade su tutti noi e sul nostro stile di vita così ingordo di energia e così poco rispettoso dell’ambiente. Il prodotto più evidente della nostra società sono i rifiuti con i quali soffochiamo il pianeta. In verità, i rifiuti sono una presenza così pervasiva che Marco Armiero propone di chiamare la nostra era Wasteocene, prendendo a prestito dall’inglese la parola waste che identifica tutto quello che si butta: gli scarti, la spazzatura.
Nel suo libro L’era degli scarti, Armiero fa una disamina cruda della situazione mettendo in luce come la produzione di scarti non sia affatto uniforme: i ricchi ne producono molto di più ma sono poi i poveri a dovere sopportare le conseguenze di un inquinamento sempre più distruttivo. Il quadro è tutt’altro che positivo ma, purtroppo, corrisponde al vero. Leggere che si vive nell’era della spazzatura fa riflettere e viene naturale chiedersi cosa possiamo fare ora.
È questo il titolo della terza parte di Terra Fragile dove si parla di cibo del futuro, di energie alternative, di quello che ognuno può e deve fare per promuovere uno sviluppo sostenibile. Solo così eviteremo di rendere inabitabile il nostro pianeta.