Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2021
Come è cambiata Milano dal 1947 a oggi
gran Milano città che sale dal 1947 a oggiArchitettura & urbanistica. Il saggio di Fulvio Irace offre un’analisi lucida e a tratti impietosa delle trasformazioni avvenute nel tessuto urbanoMario BottaVico Magistretti con Franco Longoni. Casa-torre al Parco Sempione di Milano (1953-1956). Foto di Marco Introini «Milano Moderna è la versione rivista di un libro uscito nel 1996, allargata per l’occasione sino a comprendere l’intera portata delle trasformazioni che hanno caratterizzato il costruirsi di una nuova città negli ultimi due decenni». Così annota l’autore, Fulvio Irace, nella premessa a questa riedizione di 24 Ore Cultura, anch’essa, come la precedente, coordinata con merito da Enrico Baleri.
Dal mio punto di vista come architetto, si tratta di un’analisi storico-critica di grande interesse che guarda con occhio lucido, sotto molti aspetti impietoso, le trasformazioni avvenute nel tessuto urbano durante la seconda metà del secolo scorso e nei due primi decenni del nuovo millennio.
Una lettura che evidenzia i cambiamenti strutturali e operativi avvenuti in un tempo storico dove la città ha stravolto, in un lasso di tempo relativamente breve, gli obiettivi etici ed estetici della sua stessa ragione d’essere parte della modernità. È la città, come manufatto che dà forma alla storia, che diviene una cartina di tornasole capace di far riemergere le ragioni e le contraddizioni del nostro essere cittadini protagonisti, spesso inconsapevoli, della forza dell’abitare.
Ancora oggi la città, in particolare quella europea, si conferma come il modello di aggregazione spaziale più intelligente, più bello, più flessibile che la storia dell’umanità abbia saputo realizzare: nella modernità si sono attuate straordinarie conquiste tecnico-scientifiche che hanno indubbiamente migliorato il nostro vivere, ma l’efficienza e la bellezza della città restano ineguagliate.
La Milano moderna è una città nella quale il nesso con l’architettura e il paesaggio risulta inscindibile, soprattutto grazie alla coralità di opere, autori e progettisti che, attraverso una critica ragionata, parallela allo sviluppo economico, si sono adoperati e hanno saputo misurarsi con le preesistenze, cercando di parlare una lingua moderna capace di dialogare con la stratificazione storica del tessuto urbano – «L’unico modo per rispettare l’antico è quello di essere autenticamente moderni», dice Carlo Scarpa.
La Milano moderna è quindi una fusione armonica di sapere, raffinatezza, eleganza ed equilibrio.
Un impegno che rispecchia anche il felice rapporto con una committenza che, nella storia, ha saputo formulare richieste funzionali ben precise confluite in opere con immagini che hanno creato una propria identità. Una committenza con la quale è stato quasi sempre possibile stabilire un rapporto diretto fra investitore e progettista. Oggi, invece, nell’arco di mezzo secolo, è avvenuto un cambiamento radicale: la professione dell’architetto è cambiata perché, spesso, non è nemmeno possibile individuare chi sia l’interlocutore: operatori privati, società anonime, uffici di amministrazione o, peggio ancora, come sempre più spesso accade, misteriosi fondi di investimento. Viviamo in una “società liquida”, per dirla con Zygmunt Baumann, e l’appiattimento che deriva dalla globalizzazione è legato anche a questa condizione di crescente perdita d’influenza di un ruolo etico dell’architetto.
Merito di Fulvio Irace è l’aver indicato, con questo saggio, le ragioni operative esistenti nei due decenni analizzati e ritrovare le condizioni critico-culturali che, dal dopoguerra fino ai nostri giorni, hanno costantemente motivato ogni trasformazione della città (di quartiere, di isolato e perfino di singole architetture), segni dell’operosità milanese: operosità che ha coinvolto molti grandi nomi dell’architettura italiana, da Gio Ponti allo studio BBPR, da Luigi Caccia Dominioni a Vico Magistretti, da Ignazio Gardella a Marco Zanuso, dal romano Luigi Moretti alla successiva generazione di Aldo Rossi, degli Aymonino e Viganò fino ai numerosi giovani architetti contemporanei.
La riflessione di Fulvio Irace trova un naturale compendio nelle belle immagini urbane dei fotografi (Basilico, Introini, Romano, Rosselli e Silva) che illustrano un’architettura capace ancora di testimoniare la propria matrice linguistica con una identità tipologica e culturale che, purtroppo, non ritroviamo nella babele dei linguaggi della contemporaneità, come testimonia il capitolo Milano modernissima, a conclusione del volume. Qui, con una quantità eccezionale di progettisti internazionali, la città, salvo rare pregevoli presenze significative, mostra i limiti dei modelli della recente architettura scaturita dalle procedure cosiddette “digitali”, che sull’onda dei mandati promossi dai fondi d’investimento offrono una serie di immagini scontate, cosmopolite e soprattutto attente alla moda, immagini che purtroppo troviamo anche sui dépliant di molte altre città del mondo spacciate come segno di una presunta modernità. Ma i valori enunciati da questi ultimissimi esempi non riescono a entusiasmarci o a commuoverci; scontata è la banalizzazione dei temi e delle caricature che fanno rimpiangere l’identità meneghina che, per contro, la Torre Velasca continua a testimoniare.
Per gli architetti, credere che le forme della contemporaneità possano sfuggire a un confronto creativo con il territorio della memoria risuona oggi come un inganno. Questo libro di Irace pone un dilemma: Milano moderna o Milano modernissima?