il Giornale, 28 novembre 2021
Nella Villa di Gadda
Villa Gadda, la celebre dimora in cui «l’Ingegnere» visse durante gli anni della sua infanzia e che fa da sfondo al suo romanzo-capolavoro (La cognizione del dolore, 1963), sorge in una zona residenziale di Longone al Segrino (Lukones, nel romanzo), in provincia di Como, lungo quella strada provinciale 41 – più nota come Valassina – che dalla cittadina di Erba (El Prado, nel romanzo, «congiunto per ferrocarril tanto a Novokomi che a Pastrufazio», cioè a Como e Milano) conduce fino a Canzo (Cabeza, nel romanzo) e da lì verso l’alta Valassina, rinomato luogo di villeggiatura per quei milanesi che, tra gli anni Sessanta e i Novanta, abbandonavano la metropoli lombarda nei fine settimana per andare a respirare «aria buona» al fresco delle colline prealpine.
L’edificio descritto con dovizia di particolari ne La cognizione, la fonte stessa delle nevrosi di Gadda, è oggi un parallelepipedo dalle forme poco aggraziate che ospita cinque unità immobiliari, collocato a metà strada tra due luoghi letterari altrettanto simbolici: un chilometro e mezzo prima, nel cimitero della frazione erbese di Arcellasco, si trova infatti la tomba di Giuseppe Pontiggia, il grande scrittore e consulente editoriale lombardo (La grande sera, Premio Strega 1989), anch’egli di origini erbesi; poco più avanti, e raggiungibile a piedi da Villa Gadda invece, troviamo quel lago del Segrino (il Seegrün del romanzo gaddiano), oggi meta di turisti, famiglie e ciclisti, che fa da sfondo anche al romanzo Malombra (1881) di Antonio Fogazzaro e ad una novella di Ippolito Nievo, La Pazza del Segrino (1860).
In lontananza, spostato leggermente a nord-est, si staglia il manzoniano Serruchón (il Resegone, «una lunga erta montana tutta triangoli e punte, quasi la groppa-minaccia del dinosauro»), e tutt’intorno, in una specie di contrasto ideale, troviamo quel mondo di provincia fatto di colline e laghetti prealpini, popolato da laboriosi peones che nutriva (oggi come allora) un misto di stupore e diffidenza verso la grande città in fondo alla pianura, quella Pastrufazio (il capoluogo della Lombardia, nel romanzo Nèa Keltikè, mentre l’Italia diventa lo stato sudamericano del Maradagàl) in cui Gadda trascorse il resto del proprio tempo e portò a compimento gli studi superiori.
Cosa rimane, oggi, della villa descritta nel romanzo, la stessa dimora capace di suscitare in Gadda quella particolare idiosincrasia che lo porterà a detestare per sempre la Valassina e i suoi abitanti (definiti con spregio «calibani gutturaloidi» anche nella corrispondenza privata, come si evince dagli studi puntuali di Dante Isella e dal saggio introduttivo all’edizione Einaudi del 1963 di Gianfranco Contini)?
Abbiamo deciso di seguire le vicende del romanzo che, com’è noto, ha per protagonisti lo scorbutico Gonzalo Pirobutirro (cioè l’alter ego dello scrittore), definito «iracondo, oltreché scioperato» e La Madre o Signora o Padrona (Elisabetta François, cioè l’alter ego della madre Adele Lehr, nda), il loro complicato e ambiguo rapporto fatto di gelosie, silenzi e frequenti strappi, almeno a sentire i peones: «in accessi bestiali di rabbia (si dice) usasse maltrattamenti alla vecchia madre»; Gonzalo è un personaggio scomodo, irascibile a detta dei peones, che trascorre le proprie giornate nello studio o sul terrazzo (ancora visibile, anche se in parte modificato) a leggere («Ma cosa diavolo legge, poi!»), a scrivere («qualcheduna di quelle sue parole difficili, che nessuno capisce, di cui gli piace d’ingioiellare una sua prosa dura, incollata, che nessuno legge»).
La cognizione del dolore è un romanzo amaro che culmina in un finale ancor più drammatico, col ritrovamento del cadavere della donna; ci siamo fatti aiutare, nella ricostruzione dei luoghi, dalla mirabolante «corte dei miracoli» che ruota attorno ai due personaggi principali già menzionati (Peppa, la lavandaia «dalla cesta ricolma di lenzuoli strizzati»; il dottor Higueróa, che visita spesso Gonzalo; la domestica Battistina, «giornaliera e avventizia per la stagione estiva e per le primissime ore del giorno»; Don Giuseppe, «il buon parroco che bazzicava l’osteria del Alegre Corazón»; Pedro Manganones alias Gaetano Palumbo, il vigile ciclista; il cavalier Trabatta, che subisce un furto nella propria abitazione; il sudicio peone della villa José/Giuseppe, disprezzato da Gonzalo; gli onnipresenti uomini dei Nistitúos provinciales de vigilancia para la noche; le donne, «la Beppa, la Pina, la Carmencita, la murmuradora, la bulladora, la mariposa...»).
Longone al Segrino viene così descritta nel primo capitolo: «Lukones: un villaggio con oficina de correos (ufficio postale), telefono, levatrice, tabacchi, medico condotto, albergo del Leon d’Oro, lavatoio pubblico e beninteso parrocchia: lo traversa, con alcune svolte, la camionabile provinciale che dalla stazione e dalle pioppaie del Prado mena volutamente a Iglesia», ed è facile scoprirne, ancora oggi, nel centro storico del paese, i riferimenti toponomastici, pur celati dietro ai termini di derivazione sudamericana del caratteristico pastiche gaddiano (mix di dialetti, neologismi, termini tecnici e scientifici ecc.).
L’abitazione dei Pirobutirro, oggi raggiungibile da una svolta a destra sulla provinciale con curva a gomito nei pressi del bar Eclisse, è così introdotta nel primo capitolo: «dietro dal cui muro, lungo la stradaccia sassosa, arditi gettoni, come fruste, mettevano drupe tùmide e bleu contro l’azzurro del cielo di settembre, susine, di certo, dei susini di spalliera: proibite ai passanti».
La strada oggi è asfaltata, il muro di cinta tanto detestato da Gonzalo («il muro è gobbo, lo vedo, e anche le anime dei morti lo scavalcherebbero») è rimasto intatto e una strada acciottolata sulla sinistra conduce verso il piccolo cimitero dove riposano il padre dell’Ingegnere, Francesco Gadda (nel romanzo Francisco) e il fratello Enrico, morto durante la Prima guerra mondiale, la sorella Clara e la madre.
Dalla terrazza e dai piani alti la vista si spalanca sul lago di Pusiano (quello immortalato da Segantini), «sulla turchese livellazione del fondovalle, che conosciamo essere un lago».
Ma cosa pensa Gadda, del luogo in cui gli è toccato di vivere?
«Di ville, di ville!; di villette otto locali doppi servissi; di principesche ville locali (come Villa Maria Giuseppina di proprietà Bertoloni, citata poco più avanti, nda) quaranta ampio terrazzo sui laghi veduta panoramica del Serruchón – orto, frutteto, garage, portineria, tennis, acqua potabile, vasca pozzonero oltre settecento ettolitri: – esposte a mezzogiorno, o ponente, o levante, o levante-mezzogiorno, o mezzogiorno-ponente, protette d’olmi o d’antique ombre dei faggi attraverso il tramontano e il pampero, ma non dai monsoni delle ipoteche...».