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 2021  novembre 28 Domenica calendario

Papà, nonno e vedovo, diventa prete a 66 anni

«La mia nipotina Gaia di 2 anni non se ne rende ancora conto, ma l’altra, Sofia, che ne ha 7, ha capito che qualcosa di strano è successo». La stranezza è che Maurizio Scala, per tutti «Momo», 66 anni, pensionato, vedovo, responsabile del servizio ai senza dimora della Comunità di Sant’Egidio a Genova, è un nonno che da ieri mattina è prete. In chiesa erano presenti quattro generazioni: le due nipoti, la figlia Valeria (38 anni) e Sergio, il padre 92enne. Per ordinare sacerdote Momo sono arrivati in Liguria da Bologna il cardinale arcivescovo Matteo Maria Zuppi, che ha presieduto l’ordinazione, e dal Vaticano monsignor Vincenzo Paglia, consigliere spirituale della Comunità, che ha concelebrato. E da Roma sono giunti i vertici di Sant’Egidio, il fondatore Andrea Riccardi e il presidente Marco Impagliazzo, seduti con 500 persone nella basilica dell’Annunziata, tra cui molti di quei senzatetto che vengono serviti dalla mensa della Comunità o che Maurizio incontra tutte le sere lungo le strade di Genova. Per Zuppi, «la scelta di Momo è arrivata in una stagione della vita in cui generalmente contano di più i bilanci che i progetti». Riccardi evidenzia come «Momo sia un presbitero, com’era nel cristianesimo degli inizi, un anziano consigliere che guida gli altri credenti».
Don Maurizio, da dove possiamo cominciare per conoscere la sua storia?
«Dall’esperienza di 45 anni con Sant’Egidio, che significa tenere insieme il Vangelo e l’impegno accanto agli indigenti. Un percorso umano e spirituale che fino a nove anni fa ho condiviso con mia moglie Roberta».
Ci racconta qualcosa di voi?
«Ci siamo sposati giovani. A 38 anni Roberta si ammala di un grave tumore cerebrale. Inizia un lungo calvario che durerà diciassette anni. Con mia figlia la accompagniamo e curiamo in casa fino all’ultimo. Tempi difficili, ma caratterizzati anche da una certa serenità; siamo stati sostenuti da tanti amici straordinari».
Come ha vissuto il vuoto?
«La vita è andata avanti, mia figlia mi ha fatto dono di due bellissime nipotine, e io ho continuato a dare il mio contributo nella Comunità, occupandomi anche dei giovani, della crescita dei gruppi di Sant’Egidio in altre città del nord Italia».
Dove e come è nata la sua vocazione?
«Dalla lunga esperienza di incontro con i poveri. E poi, negli ultimi anni difficili per la nostra società, in particolare durante la pandemia, ho compreso quanto ci sia bisogno di futuro. Il domani come sarà? Ci chiediamo. Io penso che la ricostruzione potrà essere illuminata da Gesù. E così ho sentito che Dio mi chiedeva un ulteriore passo, mi poneva un nuovo fronte: non più solo servizio agli sventurati ma anche servizio all’altare. Mi sono sentito chiamato a trasmettere la gioia di Dio anche in questa veste».
E ora come si sente con l’abito ecclesiastico?
«Raggiante. Sono in pensione da due anni e sento energie e forza, sarebbe un peccato sprecarle con il pensiero "sono arrivato": non sono arrivato a un bel niente, anzi, spero che il bello debba ancora venire. Anche perché ho ancora qualche sogno che mi piacerebbe realizzare».
Sua figlia come ha reagito?
«Mi ha detto: "Sento che questo passo dà pienezza alla tua vita". Ero felicissimo di queste sue parole».
Quanto pensa a sua moglie?
«Sono certo che Roberta in Cielo è contenta, conosceva bene il mio amore per il Vangelo e per gli ultimi. Sarà "partecipe" anche di questo mio nuovo tempo».
Che prete vuole essere?
«Essere sacerdote vuol dire per me fare sentire la vicinanza di Dio a tutti, soprattutto a chi sente il peso delle ferite della vita».