Corriere della Sera, 28 novembre 2021
Come nasce il fenomeno delle plusvalenze nel calcio
C’è chi la definiva «finanza creativa». E chi, con toni compiaciuti e ammirati definiva i dirigenti della Juve «i maghi delle plusvalenze». Dal cilindro bianconero di conigli ne sono usciti a decine, nel corso degli anni: da Pjanic, ceduto al Barcellona per 60,8 milioni mentre Arthur faceva il percorso inverso per 72, fino allo scambio di sconosciuti ragazzini con il Marsiglia, Tongya per Marley, valutati 8 milioni ciascuno. Operazioni di maquillage al bilancio che permettevano, non solo alla Juve, di sistemare i conti senza sborsare denaro e che consistevano nell’attribuzione di quotazioni evidentemente fuori mercato ai calciatori.
Una soluzione estrema, emergenziale, già adottata dai nostri club a inizio millennio, tanto che Inter e Milan erano finite nel mirino della magistratura, venendo assolte nel 2008 «perché il fatto non costituisce reato». Da qualche anno le plusvalenze sono tornate di moda, ma la giustizia sembra più intransigente. Il fatto che si sia mossa la Consob non è irrilevante.
Fino a qualche mese fa la giustizia sportiva si era occupata di plusvalenze fittizie solo raramente, per di più partendo da un concetto che di fatto annullava ogni possibilità di condanna: la soggettività della valutazione dei calciatori. Nessuno, secondo gli organi della Figc, era in grado di stabilire se davvero i costi dei trasferimenti fossero artatamente gonfiati, anche di fronte a casi che parevano evidenti. «Chi può dimostrare che non si tratti di errori di mercato?», era la tesi. Solo due club sono stati condannati dai tribunali del calcio: Chievo e Cesena. Perché loro sì e gli altri no? Perché in quel caso è stata trovata la «pistola fumante», la prova inconfutabile del reato: un dirigente del Cesena dell’epoca era intercettato dalla magistratura ordinaria per altri motivi e in quelle telefonate concordava con il Chievo le plusvalenze fittizie. Gli atti dell’inchiesta, trasmessi alla giustizia sportiva, hanno portato alla penalizzazione dei due club.
Ora che è entrata in azione la Consob gli scenari cambiano anche a livello sportivo, tant’è vero che la Covisoc, l’organismo di vigilanza della Figc, ha segnalato alla procura federale 62 operazioni di mercato. Di queste, ben 42 riguardano la Juve: ce ne sono con Manchester City e Pro Vercelli, Barcellona e Lugano, Samp e Genoa, e poi con Empoli, Parma, Pescara, Pisa, Novara, Amiens, Basilea. Ma nel mirino è finito anche il Napoli per l’operazione Osimhen, acquistato dal Lille per 71,2 milioni. Il problema è che, mentre il nigeriano lasciava la Francia, arrivavano da Napoli 4 calciatori di livello discutibile valutati cifre monstre: il vecchio portiere Karnezis oltre 5 milioni, i ragazzini Palmieri, Manzi e Liguori tra i 4 e i 7 milioni ciascuno.
Colpisce, della Juve, anche la portata delle operazioni relative alla squadra B, iscritta alla serie C: nella stagione 2019-2020 il club ha movimentato 39 milioni per quella formazione, mentre le altre 59 società iscritte allo stesso torneo, messe assieme, sono arrivate circa a un decimo di quella cifra. E tutto questo per arrivare a metà classifica.
Nelle ultime stagioni si è parlato di plusvalenze anche per altre società, ad esempio per l’Inter che ha spesso ceduto a prezzi alti molti giovani della Primavera (in tre anni ha messo a bilancio oltre 130 milioni grazie ai ragazzi). Ma questo non significa che così fan tutti. Anzi. Molti club sono rimasti alla larga da tale metodo, e di recente qualcuno ha anche alzato la voce. Come la Fiorentina, che le plusvalenze non le ha utilizzate al pari di Milan, Torino, Lazio. Ha detto Commisso, presidente viola: «Nei conti dovrebbe esserci trasparenza, invece la Juve non ha rispettato le norme. E non è stata penalizzata, né in classifica né sul mercato».