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 2021  novembre 28 Domenica calendario

Noi, il debito e la transizione verde

I principi che hanno ispirato la risposta dei governi alla pandemia sono stati sorprendentemente simili. Gli interventi pubblici: tempestivi e massicci ovunque. La ripresa, dopo il collasso, è stata molto più robusta e veloce di quanto non si temesse. Dobbiamo ringraziare i vaccini, le politiche di supporto a famiglie e imprese e gli interventi delle banche centrali. Non c’è dubbio che la modalità delle politiche pubbliche in risposta al Covid costituirà il prototipo per la gestione delle crisi negli anni a venire. Ma quella esperienza non ci aiuta più di tanto ad affrontare la nuova situazione macroeconomica e le sfide dei prossimi decenni. Quelle sfide saranno dominate dalla necessità esistenziale di affrontare la transizione verde in una situazione in cui anni di crisi hanno lasciato il settore pubblico fortemente indebitato. L’umanità non ha un’alternativa a prendere sul serio l’obbiettivo «net zero», cioè portare le nostre economie a emissioni nette di anidride carbonica a zero entro il 2050. Ma è ovvio che perseguire quest’obbiettivo comporterà una trasformazione radicale nel modo di vivere e produrre, trasformazione ancora più significativa di quanto sia avvenuto durante la rivoluzione industriale. E comporterà effetti ineguali su diversi gruppi di popolazione che richiederanno politiche pubbliche innovative per costruire il consenso sociale di cui c’è bisogno per navigare in una trasformazione così profonda.
U n ruolo certamente lo avrà il settore privato, ma è impensabile che questa trasformazione non necessiti della mobilitazione di ingenti fondi pubblici. Le stime indicano che il traguardo «net zero» richiederà un immediato aumento del 2% del Pil del tasso di investimento annuale per l‘uso di energia pulita e per i trasporti. Il think-tank Bruegel stima che la parte pubblica di questo investimento dovrà essere tra lo 0,5 e l’1 per cento del Pil. Altre risorse dovranno essere dedicate a partnership pubblico-privato per accelerare lo sviluppo tecnologico e creare così un eco-sistema che investa e gestisca i rischi della transizione. È ormai evidente che politiche esclusivamente basate su incentivi economici al settore privato non saranno sufficienti. 
Ma se questo è vero, è irrealistico pensare che il debito pubblico diminuirà nel prossimo futuro. Il problema non è come tornare al più presto a livelli di debito pubblico di 15 anni fa, fondamentale è invece capire come si potrà convivere con alti tassi di indebitamento senza essere minacciati e prevenendo i rischi di instabilità finanziaria o episodi di alta inflazione. 
La prima osservazione è che se gli investimenti pubblici e privati aumenteranno in modo persistente, come previsto e auspicabile, dobbiamo aspettarci non solo un aumento del debito, ma anche una pressione verso l’alto dei tassi d’interesse. Le economie avanzate dovrebbero uscire da quel regime di bassi tassi che ha caratterizzato il nuovo millennio.
Tassi e debito in aumento sono compatibili con la stabilità solo se la transizione a «net zero» genererà tassi di crescita sufficienti e comunque superiori al tasso di rifinanziamento del debito. Questo dipenderà dalla redditività reale degli investimenti e anche dalla capacità della Banca centrale europea di calibrare la politica monetaria in modo da generare quella combinazione di inflazione e tassi nominali che lo rendano possibile. 
In altre parole, convivere con un alto debito – anche a fronte di un aumento dei tassi – non è impossibile: i rischi non vanno però sottovalutati perché quando il debito è elevato si è vulnerabili ad aumenti della percezione del rischio che si riflettono poi sui tassi di rifinanziamento. La percezione del rischio che le politiche finanziate a debito siano adeguate è condizione della stabilità. 
E qui bisogna fare attenzione. Ciò che è importante non è soltanto la percezione di chi il debito lo finanzia acquistando titoli di Stato, ma anche quella di tutti i cittadini perché questa è la condizione della legittimazione dell’azione dello Stato, legittimazione senza la quale la società si frantuma con conseguenze sia economiche sia sociali e quindi con un ulteriore aumento del rischio. 
In un recente libro sulla storia del debito pubblico, Barry Eichengreen ci invita a non demonizzare il debito. Ci sono momenti storici, dice Eichengreen, in cui il debito pubblico diventa uno strumento di costruzione dello Stato e di rafforzamento della sua legittimità. Ma questo è possibile se ciò che lo Stato fa risponde alla domanda dei cittadini, sia di protezione che di progresso. Non bisogna scordare che la storia è piena di esempi in cui il debito è stato usato male e in cui questo ha generato episodi drammatici di instabilità finanziaria, oltre a distorsioni persistenti nell’economia.
Chi ha ragione quindi tra chi ha detto che il debito è un problema del secolo scorso e chi, invece, si preoccupa?
A mio avviso la domanda è mal posta. Difficile pensare oggi a un consolidamento del debito veloce, è semplicemente irrealistico. Ma proprio perché il debito è alto mai come oggi siamo esposti a quel rischio di sfiducia che ci porterebbe sia a difficoltà di finanziamento sia a una lacerazione della società. Quindi focalizziamoci su ciò che dobbiamo fare e su come portarlo a casa.