La Stampa, 27 novembre 2021
La parabola di Gubitosi alla guida di Tim
L’unico dubbio che c’era nei palazzi della politica quando tre anni fa Luigi Gubitosi decise di lasciare l’Alitalia per guidare Tim riguardava il destino della compagnia aerea. Ma il manager, uno dei commissari straordinari, aveva rassicurato tutti nella sua lettera d’addio dicendo che la compagnia «ha ripreso quota e continua a crescere». Di più. «Le performance operative ci vedono tra i leader a livello mondiale ed è in corso un processo di continuo miglioramento su tutti gli aspetti del business». Dev’essere stato un giudizio quantomeno affrettato, visto che oggi Alitalia, come noto, non esiste più. Ma anche Tim, per parafrasare Woody Allen, non si sente tanto bene.
Se l’avventura di Gubitosi in Tim finisce, almeno nelle vesti di capoazienda, con un fondo – Kkr, quello che vuole comprarsi tutta la compagnia – anche il suo arrivo era stato propiziato da un fondo. Si trattava di Elliott dell’americano Paul Singer che nel 2018 vince in assemblea, scalza dal potere i francesi di Vivendi (primi azionisti col 23,8%) e tra gli altri porta l’ex direttore generale della Rai e già numero uno di Wind in consiglio. Il fondo vince anche grazie a una ricetta ben precisa che torna d’attualità in questi giorni con l’offerta di Kkr: lo scorporo della rete per estrarre valore e per far tornare la società di servizi al dividendo.
Alla guida di Tim, ai tempi, c’è Amos Genish, un manager israeliano che dura poco. Con un blitz viene defenestrato e Gubitosi – al termine di un breve duello con Alfredo Altavilla, ora presidente di Ita Airways – conquista la poltrona più alta di Tim. Comincia così la sua gestione costellata da due caratteristiche: conti in declino, pure in un contesto molto difficile, e tanti fuochi d’artificio a corredo. Per lunghi mesi, sostenuto dal governo Conte e dalla Cdp targata Fabrizio Palermo, più che l’andamento del gruppo tiene banco la telenovela della rete unica, da farsi combinando Open Fiber (la società voluta dal governo Renzi per la banda ultra larga, oggi con Cdp al 60%) e la rete di Tim. A fine agosto 2020 sembra la volta buona, con la lettera di intenti tra Telecom e Cdp. Ma cade il governo Conte e con Mario Draghi cambia tutto. Si punta su FiberCop, società dove viene messa la rete secondaria per lo più in rame e dove investe Kkr, sempre lui. Si mettono le torri a fattor comune con Vodafone in Inwit ma, anche qui, si vendono quote di minoranza ad Ardian e Canson. I razzi da sparare si diradano, si parla di cloud e delle sue potenzialità. Ma i margini calano, i conti peggiorano, il titolo scende. E allora Gubitosi si inventa l’accordo con Dazn e uno slogan: “Fiber to the football”: un miliardo in tre anni per distribuire il calcio con Timvision. Stringe intese con tutti: Netflix, Amazon, Disney, Mediaset-Infinity. Ma gli effetti non sono quelli sperati: per ragioni di antitrust il pacchetto non può essere venduto con la fibra. I clienti sono poco più di metà di quanto preventivato. L’azienda è costretta così a lanciare due allarmi sulle previsioni nei conti in pochi mesi, l’agenzia di rating Standard&Poor’s, dopo Moody’s, abbassa il giudizio sul merito di credito. È sui numeri che il manager – che nel frattempo sponsorizza l’arrivo di Kkr – inciampa.
Le indiscrezioni delle ultime ore, seguite alla rimessione delle deleghe al consiglio, raccontano di una resa dei conti tumultuosa, giovedì, con il collegio sindacale, l’organo di controllo da tempo allarmato sull’andamento della società. I sindaci, insieme con i consiglieri del comitato controllo e rischi, chiamano a rendere conto dei numeri il responsabile dei ricavi, Stefano Siragusa (l’unico superstite dell’era Genish tra i manager di prima linea), ma al suo posto si vedono comparire Gubitosi che vuole illustrare in prima persona i numeri. L’audizione finisce. E allora richiamano Siragusa che, per parte sua, raccontano, non confermerebbe però la versione fornita dall’ad. È il preambolo del cda straordinario di ieri, chiesto a gran voce dai sindaci, da Vivendi ma anche dai consiglieri indipendenti. Lì Gubitosi perde le deleghe da capoazienda ma resta in consiglio da dove seguirà le prossime puntate. Le leve operative vanno a un manager di lungo corso in Tim, Pietro Labriola, a capo di Tim Brasil e nuovo direttore generale del gruppo che piace ai francesi ma godrebbe anche di un apprezzamento generale. Che ne sarà invece dell’offerta di Kkr? La proposta di comprare Tim giunta dagli americani verrà esaminata sebbene alcuni osservatori vedano l’operazione, mal vista da Parigi, complicarsi. Difficile dire se anche il caos in Tim sia risolto. Confida un autorevole osservatore: «Siamo solo all’inizio…».