Il Sole 24 Ore, 27 novembre 2021
Intervista ad Antonio Percassi
Più marchi, più negozi. Per il gruppo di famiglia Antonio Percassi non ha dubbi: «Crescita interna per almeno due o tre anni, poi si vede». Così risponde ai private equity che gli propongono di entrare nel capitale, o alle banche d’affari che gli parlano di Ipo. «Non escludiamo nulla, ma non è questo il momento», chiarisce subito in questa intervista con Il Sole 24 Ore con cui deroga alla consueta discrezione e accetta di parlare di business e naturalmente di calcio.
Con i vostri oltre 1.100 punti vendita avete un osservatorio straordinario sullo stato di salute dell’economia in Italia e fuori: che sensazioni avete?
Buone, decisamente buone, se consideriamo il danno che abbiamo subìto con la pandemia, sia durante che dopo. Nel primo semestre abbiamo registrato il ritorno all’utile consolidato, e i 28,7 milioni di risultato operativo equivalgono a un +32% sul 2019. Il terzo trimestre ha confermato il trend, e ottobre pure: nei primi 10 mesi i volumi sono cresciuti del 28% sul 2019. E viaggiamo ancora con il freno tirato.
In che senso?
Siamo un gruppo globale, Kiko da sola è presente in 45 Paesi, ma l’Italia è ancora centrale e qui il turismo estero è ripartito solo in parte. In pratica, siamo già oltre al 2019 nonostante una domanda ancora prevalentemente domestica. Di conseguenza sono numeri che per noi valgono doppio.
La pandemia ha cambiato i vostri programmi?
La chiusura forzata ci ha fatto capire che il patrimonio delle nostre persone e dei negozi è ancora più incredibile di quanto non credessimo. Superato lo shock, insieme a loro abbiamo stravolto i piani sulla rete, moltiplicando gli sforzi sull’allestimento dei negozi nuovi e accelerando gli interventi di quelli esistenti.
Cosa prevedono i nuovi target?
Puntiamo a 400 nuovi negozi entro il 2023, di cui 300 con il brand Kiko e 100 con gli altri, che porteranno il nostro gruppo ad aumentare il suo fatturato di circa il 50%, a quasi 1,5 miliardi. È questa la nostra reazione alla pandemia.
Ma i lockdown non hanno consolidato gli acquisti online?
Il canale digitale era importante, lo sarà ancora di più ed è presidiato anche dai noi. Ma quello che vediamo è la voglia di tornare a provare i prodotti. È nei negozi che si fidelizzano i clienti vecchi e si conquistano quelli nuovi: la regola vale a maggior ragione adesso, dopo un anno e mezzo di stop forzato. Con questo spirito abbiamo realizzato qui a Milano quello che a detta degli americani è tra i negozi più belli al mondo di Victoria’s Secrets, e lo stesso stiamo facendo in corso Buenos Aires con Nike. Dove abbiamo già aperto, i ritorni, in termini di incassi, ci danno ragione: se i clienti trovano un luogo sorprendente, pulito, con persone pronte a coccolarli allora il più è fatto. La gente spende, tornerà a farlo da casa e poi di nuovo in negozio.
Nike, Gucci, Lego, Saint Laurent, Armani … il portafogli è destinato ad allargarsi?
Certo, abbiamo diverse trattative
in corso.
Con chi?
Per ora posso solo dirle che sono aziende forti, in grado di offrire esperienze straordinarie ai loro clienti.
Anche italiane?
Non lo escludo, anche se qui per noi la priorità è Kiko: oggi siamo in 45 paesi, 20 in più del pre-Covid, arriveremo a 55 l’anno prossimo.
A proposito di Kiko: come va con il private equity Peninsula?
Bene. Loro hanno ottimi rapporti nei paesi arabi, ci hanno consentito di scegliere in fretta i partner migliori e di velocizzare le aperture.
Il fondo è entrato quasi tre anni fa, sul mercato ci si chiede se non sia già in uscita.
Non credo. Sono passati tre anni, è vero, ma di questi oltre la metà è stata segnata dalla pandemia.
Passiamo al real estate: il progetto del maxi mall di Segrate è definitivamente archiviato?
Quando è arrivata la pandemia i francesi di Unibail lo hanno temporaneamente sospeso, ma ora stiamo lavorando a una possibile ripartenza anche perché nel frattempo le opere viarie stanno procedendo. C’è da adeguare il progetto, tuttavia quello che sta capitando altrove – come a Orio – ci dice che il centro commerciale in Italia conserva una sua elevata attrattività.
Il mercato dell’M&A sta vivendo una straordinaria effervescenza, i private equity comprano di tutto a prezzi mai così elevati, la quotazione di ieri di Ariston conferma un ritorno di fiamma anche per Piazza affari. Intendete approfittare di questa fase?
Per il futuro non escludiamo nulla, ma non è un futuro vicino: prima abbiamo bisogno di crescere di più, poi valuteremo se sia utile aprire le porte a un partner finanziario piuttosto che quotarci.
Voi siete riusciti a guadagnare anche con il calcio: qual è il segreto?
La semplicità: abbiamo investito nel settore giovanile, monetizzato quando ci è stato offerto di comprare giocatori alle nostre condizioni, investito molto in infrastrutture e per il potenziamento della squadra. Siamo però rimasti umili, sappiamo di essere un miracolo.
Da anni siete ai vertici del campionato, e in Champions league. Non può essere più un miracolo.
La nostra priorità è sempre la stessa: salvarci.
Lo sa che l’Atalanta ormai è una delle metafore più utilizzate, in ogni tipo di conversazione?
Siamo contenti, ci fa onore. Ma il popolo atalantino se lo merita: è particolare, basta vedere cosa accade allo stadio prima delle partite, quando tutti si emozionano cantando “Rinascerò, rinascerai” di Roby Facchinetti.
Prima il mancato accordo con i fondi sui diritti, poi i problemi di Dazn. Che ne pensa?
Siamo tutti delusi, ma altrettanti fiduciosi che i problemi verranno risolti.
Sui diritti i private equity sembrano ancora interessati: lei riaprirebbe la porta?
Sui vari tavoli bisogna imparare la lezione dell’Europa, e dell’Inghilterra in particolare. Che ad esempio sui diritti tv ha trovato il modo di accontentare tutti i club, con una ripartizione dei proventi alla fine ritenuta equa.