La Stampa, 27 novembre 2021
C’è un arazzo schiavista a Villa Medici
na decina di anni fa il nuovo arazzo venne scelto per decorare il Salone dei ricevimenti di Villa Medici. È l’Accademia di Francia, sulla collina del Pincio: il punto più alto di Roma, con il suo parco, un paradiso.
Fino a quel momento appesi ai muri vi erano state ampie tappezzerie astratte, scelte dallo scenografo e pittore Richard Pedruzzi. A quel momento si decise di recuperare dai magazzini l’arazzo delle Indie, una serie di otto tappezzerie, che Luigi XV (1710-74) aveva donato all’Accademia di Francia. A lungo, nessuno aveva trovato niente da ridire.
Ma a Villa Medici ogni anno arrivano sedici artisti in residenza, con una generosa borsa di studio dello Stato francese: sorta d’avamposto della cultura parigina in quell’oasi di pace surreale, nel cuore di Roma. E così sul Pincio è piombata inevitabile la «cancel culture».
Guardiamolo con più attenzione l’arazzo. Vi sono raffigurati diversi uomini di colore. Le «Indie» si riferiscono a un mondo considerato all’epoca esotico e in particolare il Brasile. Sulla base di ricerche recenti, sono stati identificati nelle tappezzerie dei dignitari del regno del Congo inviati sul territorio brasiliano per convincere gli olandesi ad allearsi con i francesi contro i portoghesi. In altre scene figurano schiavi originari dell’Africa spediti a lavorare nelle colonie olandesi. Sta di fatto che i sedici artisti residenti del 2020-21, fin dagli inizi, hanno contestato la presenza dell’arazzo nel salone più rappresentativo.
Per la Notte bianca, uno degli eventi clou di Villa Medici, lo scorso 28 ottobre, i borsisti hanno chiesto la chiusura degli spazi. Per loro le tappezzerie «sono il frutto di una cultura visiva imperialista che, ricorrendo all’esotico, celebra le violenze colonialiste d’Europa, la schiavitù, lo sfruttamento eccessivo della natura e la riduzione degli umani allo stato di oggetti». Jérome Delaplanche, già responsabile della storia dell’arte a Villa Medici, ha contestato quella posizione «decolonialista»: «Si tratta di un attivismo politico il cui unico scopo è quello di incriminare l’Occidente. Non è ricerca della verità, ma un’opera di indebolimento». Per poi aggiungere: «La storia viene strumentalizzata per diventare un’arma morale: dividere tra buoni e cattivi. L’unico obiettivo di questa ideologia postcoloniale è la condanna dell’Europa malvagia».
Alla fine, con un’intervista al Figaro, è intervenuto Sam Stourdzé, 48 anni, direttore di Villa Medici, nominato nel settembre 2020 con il beneplacito di Emmanuel Macron. Ha ricordato di aver coinvolto un gruppo di artisti e universitari per “riconsiderare” le tappezzerie alla luce del dibattito attuale sulle rappresentazioni dell’immaginario coloniale».
In realtà tra qualche settimana l’arazzo dovrà essere tolto dalle pareti del salone, che sarà sottoposto a un restauro (anche per recuperare alcune decorazioni lì dipinte dal mitico Balthus, che fu alla guida dell’istituzione romana dal 1961 al ’77). Ci vorrà qualche mese e «a quel momento dovremo decidere cosa raccontare» con le opere esposte nel salone e riflettere sull’«immagine che la Villa vuole dare di sé stessa».
«A questo stadio – aggiunge – stiamo incontrando, discutendo e scambiando opinioni con tutte quelle e quelli che vivono e lavorano qui».
Accusato nei fatti di cedere agli «estremisti» della «cancel culture», precisa «noi non cancelliamo niente. Senza essere nel pentimento, possiamo aprirci a letture più complesse della storia. Oggi nel salone si trovano solo gli otto pezzi dell’arazzo delle Indie e poco più. Domani ci troveremo ancora l’arazzo, ma molte più cose». Insomma, si profila all’orizzonte un compromesso macronista: un colpo al cerchio e uno alla botte. Pure in questo la Villa Medici si conferma il riflesso della Francia contemporanea in terra italiana. «Al tempo stesso» è l’espressione più amata da Macron, presa in prestito dal filosofo Paul Ricoeur. Vuol dire non essere né di destra, né di sinistra. Essere tutto e il contrario di tutto. Annacquare la realtà in un decente e riduttivo centrismo. Significa pure sopravvivere alle polemiche della «cancel culture».