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 2021  novembre 27 Sabato calendario

La Bibbia come non l’avete mai letta

I credenti la ritengono ispirata da Dio, per chi non crede rimane un documento fondamentale della cultura occidentale, per tutti è una raccolta di opere letterarie di straordinario valore. Un libro-Scrittura per gli Ebrei (Tanak), per i cristiani “la Bibbia”, piccola biblioteca di testi raccolti in circa mille anni, scritti in ebraico, aramaico e greco. Einaudi ne pubblica la prima versione italiana non confessionale, affidata a studiosi di indiscussa autorevolezza. Notevole impresa editoriale, tre volumi benissimo illustrati, 3700 pagine (euro 240) diretta da Enzo Bianchi, curatele di Mario Cucca, Federico Giuntoli, Ludwig Monti, ampie introduzioni narrativo-esplicative per ognuno dei libri.
La Bibbia è un insieme di testi prescrittivi, sapienziali, profetici, poetici, storici, epistolari, messi insieme con un processo lungo e affascinante, letti, interpretati, tradotti in modi molto diversi nel corso dei secoli. I primi cinque libri della parte nota come Antico Testamento (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) racchiudono per gli Ebrei la Legge (Torah) che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ha rivelato a Mosè, il primo maestro (Rav — Rabbi/ Rabbino), guida del popolo ebraico.
All’Antico Testamento i cristiani hanno aggiunto altri ventisette libri da loro chiamati Nuovo Testamento o Nuova Alleanza: quattro vangeli riconosciuti (tra i tanti) come canonici, gli Atti degli Apostoli che sono, in massima parte, la “biografia” di Paolo, numerose epistole, l’Apocalisse.
Enzo Bianchi ricorda nella prefazione che di queste migliaia di pagine, esistono letture diverse all’interno dell’ebraismo, letture diverse per i cristiani, infine letture diverse anche per i non credenti che però non possono non riconoscere in questa straordinaria raccolta “Il Grande Codice” come l’ha definita il critico letterario canadese Northrop Frye. Testi che si smentiscono a vicenda, confliggono, raccontano con le parole più seducenti l’amore carnale ma anche l’ascesi più pura, la crudeltà e la dedizione, la necessità del conflitto e l’aspirazione alla pace, in buona sostanza compendiano e si fanno specchio dell’abissale complessità dell’animo umano.
Per molto tempo la Bibbia è stata considerata un testo prescrittivo, ispirato da Dio allo stesso modo in cui Allah avrebbe dettato al profeta Maometto la sua volontà (il Corano). Oggi le chiese cristiane pur riconoscendo che nella Bibbia è compresa la parola di Dio, ammettono che quei testi sono soprattutto opera umana, scritti da esseri umani e che le vecchie letture fondamentaliste sono ormai improponibili.
D’altra parte, la stessa traduzione dei testi biblici nelle varie lingue volgari ha posto seri problemi interpretativi che finiscono spesso per modificare la stessa teologia. Do alcuni esempi. Nell’edizione cattolica della Cei all’inizio della Genesi (per alcuni è meglio: il Genesi) si legge (1,2): «La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque ». Nella nuova edizione Einaudi invece: «La terra era vacua e vuota, la tenebra er a al di sopra dell’abisso e l’alito di Dio aleggiava al di sopra delle acque». L’originale ebraico “Ruach”, osserva in nota il curatore Federico Giuntoli, è ambiguo e significa sia “alito” sia “spirito”. In realtà, il più confessionale “spirito” non veicola bene il senso dell’ebraico, che può significare anche “vento” (anche l’alito è un vento…). Ruach è qui il “principio vitale” e, per il mondo antico, questo è costituito dall’“alito”. La scelta interpretativa come si vede non è semplice, la filologia asseconda le intenzioni non solo la competenza dell’interprete. Un altro possibile esempio viene da Deuteronomio 26,5. L’edizione Cei recita: «Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa». Edizione Einaudi: «Mio padre era un Arameo sul punto di morire. Scese in Egitto, vi soggiornò come straniero con poca gente e vi diventò una nazione grande, numerosa e vasta».
Precisa il curatore Federico Giuntoli: il verbo ebraico (avad) ha come significato primario quello di “morire”, “essere distrutto”. Raramente, solo se riferito al bestiame, significa “smarrirsi”, “perdersi”. Il testo, al contrario, allude abbastanza chiaramente alla severa carestia che imperversò in terra di Canaan, dunque al reale pericolo di morte per Giacobbe e la sua famiglia. Fu per sua causa, infatti, che Giacobbe e il resto della famiglia raggiunsero l’Egitto.
Un ultimo esempio viene dal libro di Isaia; nell’edizione Cei leggiamo (7,14): «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele». Nella nuova edizione Einaudi invece: «Eccolo: la ragazza resterà incinta e partorirà un figlio; il suo nome sarà Immanu-El». In nota il curatore Mario Cucca spiega la lontana origine di una così diversa traduzione. Nel terzo secolo a.C., il faraone Tolomeo commissionò agli alti sacerdoti di Gerusalemme una versione in greco della Bibbia per la biblioteca di Alessandria. Il sommo sacerdote Eleazar nominò 72 sapienti ovvero 6 per ognuna delle 12 tribù d’Israele (poi semplificati in 70) i quali, trasferitisi sull’isola di Faro, in 72 giorni completarono l’opera. Quando si trattò di tradurre Isaia, il termine ebraico “almah” venne riportato con il greco “parthenos”. Almah però significa giovane donna, ragazza mentre Parthenos significa donna che non ha conosciuto uomo, vergine. In ebraico la “virgo intacta” si dice “betulah”. Il vangelo attribuito a Matteo riprende l’impropria interpretazione, infatti, vi leggiamo (1,22-23): «Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele ». Annota Mario Cucca: l’interpretazione tradizionale cristiana riconosce nel bambino l’annuncio del Messia figlio di Maria di Nazareth. Anche da qui deriva il dogma che attribuisce a Maria perenne verginità “ante et post partum”.
Nella sua prefazione, Enzo Bianchi ricostruisce anche il secolare problema delle traduzioni perché la chiesa d’Occidente, avendo r icevuto le Scritture in ebraico, aramaico e greco si preoccupò di tradurle in latino. Aggiunge però Bianchi che: «Quando il latino si sviluppò nelle lingue volgari la chiesa cattolica attese alcuni secoli prima di rendere fruibile in quelle lingue il testo sacro». Il latino era presente nella liturgia e posseduto da molti sacerdoti ma solo raramente era comprensibile dal popolo dei credenti. Questo silenzio delle scritture diventò ancora più pesante dopo la riforma luterana del 1517. Nel 1559 sotto il pontificato fortemente reazionario di Papa Paolo IV Carafa, che tra l’altro creò a Roma il ghetto ebraico, venne istituito “L’indice dei libri proibiti” che: «poneva seri limiti alla possibilità di stampare, possedere, diffondere e leggere la Bibbia». La ragione era che l’inquieto frate agostiniano Martin Lutero aveva posto alla base della sua Riforma la Bibbia e la fede: “Pecca fortiter, sed fortius crede”, pecca fortemente ma credi con ancora più forza. Due principi che minacciavano in modo diretto l’organizzazione fortemente gerarchizzata e politica della chiesa cattolica. In conclusione, la lettura della Bibbia nelle lingue volgari (come l’italiano) venne proibita ai fedeli. Ancora agli inizi del XX secolo, la paura del movimento cristiano noto come “modernismo” fece guardare con sospetto la traduzione della Bibbia in italiano. Ci furono, ricorda Enzo Bianchi, ripetuti attacchi da parte dei gesuiti diCiviltà cattolica e dello stesso papa Pio X. Bisognerà arrivare allo storico concilio Vaticano II negli anni Sessanta del Novecento perché cadano definitivamente sospetti e accuse nei confronti della Bibbia e degli Ebrei. A margine del Concilio si riconobbe tra l’altro la totale ebraicità di Gesù, dalla nascita alla morte. Gli Ebrei non vennero più indicati come “perfidi Giudei”, al contrario giustamente indicati da papa Wojtyla come “fratelli maggiori” anche in senso scritturale.