la Repubblica, 27 novembre 2021
L’asta nazista scuote la Germania
Vanno via come il pane. Il banditore in completo color fumo e cravatta rossa batte un cimelio dopo l’altro. Gli acquirenti sono collegati in streaming, ma per partecipare bisogna farsi autorizzare via mail. Per vedere anche le foto serve un secondo via libera. E poi si parte col martelletto che batte ogni pugno di secondi la galleria degli orrori. E il prezzo che aumenta di cento, trecento, cinquecento euro mentre sfilano oggetti di dubbio valore storico e alto valore feticistico, letti dal banditore con voce neutra.
Bum. Via i sei bicchierini da liquore di Hermann Goering a tremila euro. Bum. Via lo schizzo di Adolf Hitler “L’opera in Linz” a 1.400 euro. Bum. Via la dichiarazione firmata dal Führer sulla questione dell’Alto Adige a 5.400 euro. Bum. Via un cucchiaio d’argento della cancelleria del Reich a mille euro. Bum. Via una valigia di Eva Braun a 4.000 euro. Bum, via elmetti e berretti della Wehrmacht, uniformi delle SS, baionette, pugnali, modellini di panzer, stemmi della Gioventù hitleriana, simboli dei Freikorps, medaglie, croci di ferro. Decorati invariabilmente con svastiche, rune, aquile naziste.
La casa d’aste di Monaco “Hermann Historica” non demorde. Dopo il putiferio scatenato dalle precedenti aste di memorabilia nazisti, ha organizzato una nuova vendita di oggetti provenienti dal dodicennio più atroce della storia. E anche stavolta ha ignorato le proteste indignate della Comunità ebraica europea (Eja). «È disgustoso», ha commentato il capo dell’Eja, Rabbi Menachem Margolin. «Non riesco a capire come un’asta del genere possa essere organizzata proprio in Germania». E proprio a Monaco, si potrebbe aggiungere, dove cominciò, per usare la famosa definizione di Brecht, la “resistibile ascesa” di Adolf Hitler con il putsch del 1923 e che rimase una delle incrollabili roccaforti delle camicie brune.
Per Margolin «questi oggetti sono macchiati col sangue di milioni di persone. Non possono essere venduti. “Hitler vende” non è una scusa». L’obiettivo «sarà quello di far bandire questi memorabilia dal mercato e limitare queste aste alle istituzioni culturali come i musei. È un lavoro lungo, ma una condanna dal governo per un commercio così disgustoso dovrebbe essere il punto di partenza, in attesa di una legge».
Il governo, precisa a Repubblica Alex Benjamin, direttore dell’Eja, «ci ha detto che non può fare nulla contro l’asta; è legale e hanno le mani legate». Ma Benjamin insiste: «Se gli oggetti d’avorio sono banditi dalle aste, perché non accade lo stesso con questo tipo di oggetti?». Da anni l’Eja sta tentando di sensibilizzare diversi governi europei perché facciano qualcosa. E fonti della Comunità ebraica riportano che ci sono contatti con la maggioranza “semaforo” del futuro governo Scholz perché promuova una legge che limiti queste aste. Oliver Bradley, portavoce della Europe Israel Press Association, spiega che «sappiamo di non poter puntare al divieto, ma speriamo che si riescano a mettere paletti a questa oscenità». L’anno scorso un’asta simile aveva provocato la reazione della Comunità ebraica. Nell’autunno 2019, il libanese Abdallah Chatila aveva investito centinaia di migliaia di euro per strappare i memorabilia ai feticisti anonimi e li aveva donati allo Yad Vashem, il museo della Shoah in Israele. Ma non si può sempre contare su un colpo di fortuna del genere. È arrivato il momento che se ne occupi finalmente la politica.