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 2021  novembre 27 Sabato calendario

Sul ritorno di Zelig

Giovedì sera ho aspettato fino alle 23.30 per vedere Gene Gnocchi. L’attesa è sempre carica di promesse, anche a «Zelig» (Canale 5). Sarà, ma intanto mi accorgo di aver scritto una sciocchezza: invece di aspettare, avrei potuto vedere Gene Gnocchi la mattina successiva, in tutta tranquillità.
Lo streaming ha cancellato tutte le ritualità del palinsesto, della cosiddetta tv lineare. Un tempo, quando sono apparsi i primi videoregistratori, si discuteva se fosse meglio analizzare un programma nel momento in cui andava in onda oppure nella quiete della registrazione. I puristi sostenevano la prima opzione perché, si diceva, anche il resto della programmazione entra dentro la trasmissione, quasi sottopelle.
I fantasisti, invece, erano per la seconda: senza il giogo della diretta è meglio, si salta quello che non interessa. Ora mi accorgo di divagare perché mi è difficile scrivere qualcosa su Gene Gnocchi. Colpa dell’attesa, sempre carica di promesse. Gene non si è sprecato, era sul palco di «Zelig» ma con la testa era ancora nel programma di Nicola Porro. Si è presentato con dei finti baffi a spazzolino (quel baffetto sotto il naso che identifica Adolf Hitler); e questo è stato il suo massimo contributo alla lotta contro il politicamente corretto. Ha raccontato dei suoi esordi fallimentari come rappresentante della Folletto in quel di Rimini, luogo dove «la polvere se la tirano su da soli». Poi si è buttato sulla pandemia esaltandone un lato positivo: ha impedito l’arrivo in Italia dei cantanti spagnoli che discenderebbero tutti da un patriarca di cui si parla in antiche tavolette: Miguel Mosè.
Il ritorno di «Zelig» ci sta mostrando una frattura generazionale difficilmente sanabile: il modello dei giovani comici più interessanti è la stand-up comedy, mentre «Zelig» si fonda ancora sul cabaret.