Giordano Stabile per "La Stampa", 26 novembre 2021
NELLA MERDOGAN FINO AL COLLO - LA TURCHIA È SEMPRE PIÙ VICINA AL COLLASSO: OLTRE ALLE VOCI SUI GRAVI PROBLEMI DI SALUTE DI ERDOGAN, L'INFLAZIONE STA VOLANDO A RITMI SPAVENTOSI E I RAPPORTI CON GLI USA SONO DI NUOVO PEGGIORATI, TRA IL CASO DEGLI F-35 E LA DEFEZIONE DEL "SULTANO" ALLA COP26 A GLASGOW - IL COLPO DI GRAZIA ALLA CREDIBILITÀ DI ANKARA È L'INSERIMENTO NELLA "LISTA GRIGIA" DEI PAESI SOSPETTATI DI RICICLAGGIO DI DENARO E FINANZIAMENTO AI TERRORISTI… -
È un autunno di tempeste per Recep Tayyip Erdogan. L'improvvisa defezione alla Cop26 di Glasgow ha alimentato le voci di una grave malattia, subito smentite dai media allineati e poi dalla presenza a un evento pubblico.
Il presidente turco è però apparso provato, il volto tirato, impegnato com'è su tutti i fronti. Il principale è quello interno ed economico.
Prezzi alle stelle La ripresa post-Covid è arrivata, con gli scambi commerciali in crescita dell'11,8% rispetto a un anno fa, ma è accompagnata da un'inflazione che appare fuori controllo. Erdogan ha voluto prendere il controllo della Banca centrale, ha imposto un taglio ai tassi d'interesse e i prezzi volano.
Il primo sintomo è la costante svalutazione della valuta locale, che dopo aver sfondato la soglia psicologica di dieci lire per un biglietto verde nel giro di una settimana è scesa in picchiata fino a sfiorare quota 13, per poi recuperare ieri fino a 12,05. Soltanto due anni fa il cambio era di cinque lire per un dollaro.
La svalutazione sta innescando un'inflazione spaventosa, nell'ordine reale del 40 per cento, almeno il doppio del tasso ufficiale. Una famiglia su quattro non arriva a fine mese perché gli stipendi non sono stati adeguati ai nuovi prezzi, se non in minima parte.
Erdogan ha preso nelle sue mani la politica monetaria, con l'intento di abbassare interessi e costi per le aziende. Una svalutazione competitiva per prendersi fette di mercati. Ma a pagare è la classe media. Il 40 per cento degli elettori dell'Akp, il partito al potere, dice di avere difficoltà economiche, un segnale pessimo in vista delle presidenziali previste fra un anno e mezzo.
La crisi della lira ha ridato fiato all'opposizione, fin qui rassegnata ad aspettare il voto, senza punti di riferimento carismatici a parte il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu. La rabbia popolare si è sfogata nelle strade della metropoli e della capitale, con migliaia di persone che cantavano «Akp nella tomba, potere al popolo» oppure «Akp, questo è il nostro Paese, vattene via».
L'Akp e la leadership di Erdogan hanno rappresentato per la gente soprattutto il passaggio da nazione agricola arretrata a potenza industriale a medio reddito, con una valuta stabile, dopo che quindici anni fa lo stesso Erdogan aveva tolto sei zeri alla vecchia lira e introdotto quella "pesante". Adesso sembra tutto saltato.
Ripagare il debito I risparmiatori si sono buttati sui conti denominati in dollari, come nel Libano prima del collasso finanziario. I depositi in valuta straniera sono cresciuti dal 49 al 55 per cento del totale.
La svalutazione mette però sotto pressione le banche con finanziamenti dall'estero, perché ripagare il debito diventa sempre più costoso. E alla fine i risparmiatori rischiano di dover pagare il conto. È un avvitamento pericoloso e per questo, come al solito, Erdogan cerca di spostare l'attenzione all'esterno.
Prima ha partecipato al ponte aereo dei migranti verso la Bielorussia, con 27 voli giornalieri da Istanbul contro i 7 che partivano da Damasco. Un modo per rimettere sotto pressione Bruxelles e ribadire il suo ruolo di guardiano della porta orientale dell'Europa.
Poi ha rispolverato l'anti-americanismo latente, con la proibizione di una App, Bylock, accusata di essere uno strumento dei "golpisti". L'inventore, il cittadino americano David Keynes, è stato arrestato e poi rilasciato.
I rapporti con gli Usa sono di nuovo peggiorati, perché Washington si rifiuta di restituire i 1,6 miliardi di dollari investiti nel programma F-35, poi bloccato per l'acquisto di armi strategiche dalla Russia. E si è capito che la defezione alla Cop26 a Glasgow, ufficialmente per motivi di "sicurezza", in realtà era legata alla volontà di non incontrare Joe Biden. I cattivi rapporti con Washington impattano anche sull'economia.
Nella "lista grigia" La scorsa settimana la Turchia è entrata nella poco prestigiosa "lista grigia" dei Paesi sospettati di riciclaggio di denaro e finanziamento ai movimenti terroristici, stilata dalla Financial Action Task Force, con sede a Parigi. Una decisione che l'ha messa sullo stesso livello di Mali o Pakistan.
Con queste credenziali è difficile presentarsi sui mercati internazionali. Dal 2018 le imprese hanno privilegiato il finanziamento interno, il debito estero in rapporto al Pil è ancora basso, attorno al 40 per cento, ma gli scricchiolii cominciano a farsi sentire.
Tanto che oltre a chiedere aiuto al ricco alleato tradizionale, il Qatar, Erdogan ha riallacciato i rapporti con il rivale regionale, gli Emirati arabi uniti. Mercoledì è arrivato ad Ankara il principe Mohammed bin Zayed, l'eminenza grigia del Medio Oriente, e ha promesso investimenti per dieci miliardi di dollari.
Un fatto impensabile fino a pochi mesi fa che dà l'idea dei cambiamenti in corso nella regione, ma anche della profondità della crisi turca.