Il Sole 24 Ore, 26 novembre 2021
Rifiuti, la montagna dell’elettronica. In cinque anni l’hardware in disuso è aumentato del 21% e l’89% delle imprese globali ricicla meno del 10%
Lo scenario
1di2È un impegno che ogni organizzazione, di qualsiasi settore, deve mettere nella propria agenda: implementare (e da subito) significativi cambiamenti per ridurre la produzione di CO2 del 45% entro il 2030 e raggiungere il target delle zero emissioni entro il 2050. Un obiettivo ambizioso, tornato in modo prepotente sotto la luce dei riflettori dopo la Cop26 di Glasgow e che richiede una reinvenzione radicale dei modelli di business da una parte e scelte tecnologiche orientate al green dall’altra. L’information technology è infatti uno dei settori più inquinanti in assoluto, immette nell’atmosfera milioni e milioni di tonnellate di gas serra (la sua carbon footprint pesa per circa il 2% sulle emissioni totali) e consuma una quantità di energia paragonabile al fabbisogno di un Paese grande come la Cina.
Rendere più sostenibile un comparto che rischia di diventare significativamente ancora più energivoro nei prossimi anni per l’accelerazione del digitale, è un imperativo che si declina in diverse direttrici, dallo smaltimento delle apparecchiature hardware alla progettazione di processi aziendali più efficienti, dall’estrazione responsabile dei metalli utilizzati per produrre semiconduttori e componenti all’applicazione virtuosa dei principi dell’economia circolare al ciclo di vita delle tecnologie. In assenza di mirate strategie dedicate all’efficienza e al risparmio, la domanda di energia dei sistemi informatici e di telecomunicazione potrebbe infatti aumentare fino al limite dei 3.000 TWh l’anno entro il 2025 e l’insieme di tutte le sue componenti (data center, computer e periferiche in testa) assorbire già entro la fine di questa decade fino al 20% di tutta l’elettricità mondiale, con un fabbisogno di quattro-sei volte superiore a quello stimato dagli esperti solo cinque anni fa. Il prezzo da pagare per l’iper-connettività di miliardi di persone e di lavoratori è quindi potenzialmente salatissimo. Se prendiamo come termine di calcolo i miliardi di dispositivi connessi che saranno in circolazione nei prossimi anni (non solo pc e telefonini ma anche tutti i gadget della smart home, le telecamere, i sensori e gli apparati IoT domestici e industriali), il loro impatto sulle emissioni di CO2 totali potrebbe passare dal 3,5% nel 2020 (una percentuale già superiore a quella del trasporto aereo e marittimo) al 14% stimabile alla fine del prossimo ventennio.
L’altra faccia della stessa medaglia sono le enormi quantità di rifiuti elettronici prodotte ogni anno. Secondo lo studio “Sustainable IT: Why it’s time for a Green revolution for your organization’s IT” realizzato da Capgemini, solo nel 2019 ne sono stati generate in tutto il mondo circa 53 milioni di tonnellate, per un incremento del 21% in cinque anni. Eppure, nove organizzazioni su dieci (l’89%) riciclano meno del 10% del proprio hardware in esubero e solo il 22% stima di ridurre di oltre un quarto la propria impronta di carbonio, attraverso un IT più sostenibile, nell’arco dei prossimi tre anni. Cosa fare per invertire la tendenza? Le soluzioni sono diverse. Dotarsi di strumenti adeguati per misurare l’impatto ambientale dei propri asset tecnologici è una di queste; sviluppare una strategia di sostenibilità per l’IT (partendo dall’architettura del software) che si allinei con le politiche green dell’organizzazione è un altro passo necessario. Il ricorso a fonti rinnovabili come l’eolico o il solare per alimentare i mega data center dei grandi cloud provider mondiali (come Amazon Web Services, Google o Microsoft) ma anche quelli di giganti tech come Apple o Alibaba è da considerarsi un’altra tappa irrinunciabile. L’utilizzo di tecnologie avanzate e innovative in ambito informatico e telco è quindi vitale per ridurre il rilascio di CO2 quanto lo è l’ottimizzazione delle server farm a beneficio di sistemi remoti e virtualizzati o il ripensamento intelligente degli ambienti di lavoro. E poi la strada del riciclo, che permette di regalare nuova vita ai dispositivi ancora funzionanti e di recuperare materiali (nobili e meno nobili) da riutilizzare, e quella – strettamente correlata ed altrettanto importante – del corretto smaltimento dei rifiuti elettronici. Nel 2020 in Italia, come dicono i dati contenuti nell’ultima edizione del rapporto annuale stilato dal Centro di Coordinamento Raee, sono state destinate ai centri di raccolta autorizzati oltre 365mila tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche di scarto, il 6% in più rispetto all’anno precedente. Un passo, piccolo ma significativo, verso un ecosistema tech più verde.