Avvenire, 26 novembre 2021
La biblioteca di Alberto Manguel diventa pubblica
In Rua das Janelas Verdes, dietro la facciata neoclassica del Palacete dos Marqueses de Pombal, nel cuore di Lisbona, sono cominciate le prove di carico dei solai. Fra gli affreschi e le maioliche settecentesche dei due piani nobili, dovranno reggere i quarantamila volumi del tesoro bibliografico di Alberto Manguel. Sarà il nucleo del Centro per la ricerca sulla storia della lettura (Cehl), per il quale lo scrittore poliglotta noto in tutto il mondo, il libraio che a sedici anni leggeva a Borges ormai cieco, ha mutuato il motto di Flaubert: “Leggi per vivere”. «Sarà aperta a studenti, visitatori, ricercatori, studiosi e lettori curiosi. C’è un budget, ci sono cinque bibliotecari impegnati nell’inventario. È un progetto internazionale, perché la curiosità non si può limitare a un ambito geografico», racconta ad “Avvenire” il neo direttore argentino. Il suo braccio operativo, Joana Barros Amaral, di Egeac, la società che amministra musei, biblioteche e fondazioni culturali di Lisbona, ci guida nel labirinto delle future sale di lettura, fra gli ampi spazi del sottotetto, che ospiteranno seminari e investigatori, e il piano inferiore – dedicato alla conservazione e al restauro degli esemplari più fragili – con l’accesso diretto al giardino. Il sole invita a godersi la spettacolare terrazza sul Tago, accanto a quella del Palacio Ramalhete, magione affittata a suo tempo dalla regina del pop, Madonna, e dove ancora resiste la sua palestra, meta di altri pellegrinaggi. Quando l’industria dell’intrattenimento e le nuove tecnologie dissipano l’attenzione dei lettori, la città di Fernando Pessoa rilancia la scommessa sulla lettura. «Il libro è fondamentale per accrescere competenze e visioni del mondo, anche per le nuove generazioni digitali, per farne cittadini immaginativi, compromessi con il loro tempo. Può sembrare utopico, ma noi ci crediamo», dice Catarina Vaz Pinto, assessore alla Cultura uscente, che ultima il trasloco dal Paços do Conselho municipale, dopo tre mandati socialisti. È l’alma mater delle politiche promosse dal 1995 con l’allora ministro-filosofo, Antonio Gutierres, suo consorte e attuale segretario generale delle Nazioni Unite. Che includono la riqualificazione della rete di biblioteche, l’apertura di nuove, tematiche o di prossimità nei quartieri popolari, e l’integrazione di quelle dei maestri portoghesi. Da Pessoa a José Saramago – con la cessione della Casa dos Bicos per la sede della Fondazione a lui intitolata, presieduta dalla vedova Pilar del Rio – ad António Lobo Antunes, che ha a sua volta devoluto i propri fondi perché diventino una ’public library’ a Benfica, dove è nato. «La biblioteca di Manguel – rimarca Vaz Pinto – culmina questa strategia, per la sua dimensione cosmopolita, che contribuirà a una città più includente e aperta».
L’autore di Vivere con i libri (Einaudi) e Mostri favolosi ( Vita e Pensiero) ha donato ogni suo volume, anche quelli «particolarmente cari: una Bibbia manoscritta composta nel XIII secolo in uno scriptorium tedesco, e una storia della letteratura arabo-andalusa di González Palencia, firmata da Borges nel 1934, con lo schema manoscritto di quello che sarebbe poi diventato il suo romanzo La ricerca di Averroè». Panama di traverso sul sorriso garbato dei suoi 73 anni, quando lo incontriamo al caffè della Casa museo di Pessoa, Alberto Manguel riconosce: «Mai avrei pensato che la mia collezione potesse diventare pubblica. È fatta di incontri, scoperte fortuite di scrittori in diverse lingue, culture e contesti, regali che rimandano alla memoria di persone care, libri che avrei voluto scrivere. Io posso scegliere di avere tutto Platone e solo poche opere di Aristotele. Ora si integrerà con nuove acquisizioni, essenziali perché resti viva. L’idea – prosegue l’autore di Una storia naturale della curiosità (Feltrinelli) – è mantenere i volumi su scaffali aperti, perché i lettori possano navigarli con la propria sensibilità. Nel senso espresso da Dante nel II canto del Paradiso, quando dice: «O voi che siete nella picco- letta barca / desiderosi d’ascoltar, seguiti / dietro il mio legno che cantando varca». Perché, rileva l’instancabile esploratore dei territori della conoscenza, «è del lettore la libertà di incontrare e trasformare il testo, il potere di deciderne il destino». La sua biblioteca riunisce tutte le altre. «Quando ho dovuto lasciare la mia casa in Francia e inviare i miei libri in deposito dall’editrice in Québec, ho sentito
che perdevo la mia identità. Ero come il ragazzo goffo col quale nessuna vuole ballare, perché delle varie proposte ricevute, nessuna arrivò a concretarsi». Fino a che Lisbona, col suo fascino tranquillo, gli ha offerto un anno fa porto sicuro. Ad alcuni rituali però lo scrittore nomade non ha mai rinunciato: «La lettura di un canto della Commedia ogni mattina. Ho una versione tascabile identica a quella su cui Borges imparò l’italiano, cui torno sempre, assieme alla mia Alice nel Paese delle meraviglie, annotata da Martin Gardner». Dante è la costante. «Il Centro di ricerche sulla storia della lettura sarà pronto per fine 2022, ma abbiamo già cominciato le attività per il VII centenario della nascita di Dante, un bell’evento in collaborazione con la Casa Fernando Pessoa: abbiamo chiesto a 34 poeti portoghesi di scrivere ognuno una versione molto personale di un canto dell’Inferno, interpretandolo creativamente. Diventerà un libro pubblicato dall’editrice Tinta da China. Poi, in collaborazione con la Fondazione Gulbenkian, abbiamo prestato due esemplari per l’esposizione “Visioni di Dante, l’inferno di Botticelli”». Fra questi, una preziosa edizione fiorentina del XIII secolo della Biblioteca Apostolica Vaticana, il cui direttore, cardinale José Tolentino de Mendonça forma parte – unico lusitano – del consiglio onorario del Cehl, che annovera da Margareth Atwood a Salman Rushdie a Olga Tokarczuk, fra gli altri. C’è speranza che il vecchio continente sopravviva come identità comune?, chiediamo all’intellettuale che ha da poco inaugurato la nuova cattedra al Collège de France sull’invenzione dell’Europa attraverso le lingue e le culture. «Kafka diceva: la speranza c’è, ma non per noi», replica. «Tuttavia ho fiducia che possa perdurare con la sua cultura perché è una forza che muta, ma costante. Per Nietzsche Europa era un verbo transitivo, dunque qualcosa che cambia». Prima di congedarci, un’ultima riflessione sull’atto del leggere: che significato ha in questi tempi? «Platone affermava che tutti gli uomini vivono tempi terribili. E oggi non sono differenti. Quasi tutto incoraggia a non pensare, ad accontentarci di un linguaggio dogmatico, ridotto a un tweet incoerente, perché un vocabolario più ricco, equivalente al pensiero, a emozioni e intuizioni, soprattutto più ambiguo, fa paura. Immaginare è dissolvere le barriere – assicura l’uomo dei libri – combattere le tendenze anti-razionaliste che si vanno affermando. Mi emozionò molto – aggiunge – vedere in un campo di rifugiati afghani, fuggiti con nulla, un uomo che aveva portato con sé due libri. È simbolico di questa speranza. Permette di averne ancora».