Corriere della Sera, 25 novembre 2021
Paolo Agnelli racconta la parabola della sua famiglia
Il punto di svolta in questa storia è una tragedia. Un bambino che rimane orfano a dodici anni: una malattia si era portata via il padre e, soli tre anni dopo, anche la madre se n’era andata per una polmonite fatale. È il 1894 e il piccolo Baldassare Agnelli rimane solo con la sorella maggiore Mariett che si ritrova di colpo catapultata nel ruolo di seconda mamma. Nessuna speranza di portare avanti l’osteria di Porta Ticinese, a Milano, con cui la famiglia si sostentava.
Se c’è un momento in cui tutto sembrava perduto, è quello. E invece. Parte da lì l’epopea che porterà Baldassare a diventare il capostipite di uno dei raggruppamenti industriali più importanti d’Italia: il bergamasco Gruppo Alluminio Agnelli che oggi comprende dodici aziende, leader nel campo dell’alluminio dal riciclo al prodotto finito, dai profilati industriali e per le costruzioni alle pentole professionali; con ramificazioni nel campo editoriale, finanziario e dello sport. Una storia di famiglia che ora Paolo Agnelli – classe 1951, alla guida del gruppo come terza generazione insieme al fratello Baldassare, omonimo del fondatore – ripercorre nel volume Oro grigio, in uscita oggi per Solferino (pagine 272, e 17,50), sottotitolo «I signori dell’alluminio».
La sorella Mariett si preoccupa che Baldassare impari un mestiere e lo manda alla scuola di orafo. Viene preso come garzone da un argentiere milanese. È il 1906 e a Milano c’è la Grande esposizione internazionale che celebra il traforo del Sempione: Baldassare cresce professionalmente e i titolari decidono di investire su di lui, inviandolo nei Balcani a perfezionare le tecniche di cesellatura. Bosnia, Serbia, Montenegro sono le tappe del suo viaggio. Proprio in Montenegro, un’altra svolta, decisiva, per il ventiquattrenne: un episodio che ha il sapore della leggenda o della favola.
Il giovane orafo viene avvicinato da un anziano che gli chiede di cesellare due orecchini ancora grezzi e informi per il matrimonio della figlia. Baldassare capisce che quell’uomo non avrebbe avuto i mezzi per pagarlo ma decide di fargli comunque il lavoro, gratis. La ricompensa è quella di diventare ospite d’onore alla festa di matrimonio: sono dei Rom e al termine del banchetto sono loro a fare un regalo al ragazzo italiano. Non immaginando quanto importante.
Nel fagotto che gli consegnano c’è, infatti, un pezzo di alluminio, delle ampolle di sostanze chimiche e un foglio scritto a mano con le istruzioni. «Questo è un nostro segreto, ma ti sei dimostrato persona degna di riceverlo», gli dicono. Il segreto è una pratica sconosciuta per saldare l’alluminio, la principale tecnica di lavorazione di quel metallo quasi ignoto allora.
«Quell’incontro è stato per lui come un’illuminazione», scrive ora Paolo Agnelli. «Aveva intuito le potenzialità di quel metallo grigio e ora aveva in mano anche la chiave per realizzare con esso cose mai viste, quella capacità che gli avrebbe garantito un grande futuro. In pratica, aveva scoperto nell’alluminio il nuovo oro».
Se la partenza ha radici quasi mitologiche, l’avvio dell’impresa ha il sapore agro del sudore, delle scelte da fare, dei tentativi andati a vuoto e di quelli di successo. Baldassare Agnelli sceglie Bergamo per impiantare la sua azienda nel 1907. Il volume ripercorre la storia della famiglia che si intreccia con quella dell’Italia, ma anche con quella europea e, sempre più, con quella globale. E pagina dopo pagina, dalle piccole storie familiari si intravede la parabola di un Paese in crescita. Così come dalla storia di un materiale, l’alluminio, si scorge quella del design e della creatività italiana.
Nella Prima guerra mondiale Agnelli produce tubi per l’industria aeronautica. La stagione degli scioperi fra le due guerre viene superata. «Baldassare —- racconta il nipote nel volume – era prima di tutto un lavoratore dell’alluminio: non era semplicemente vicino agli operai, ma stava realmente con loro, nei primi tempi per una questione non solo ideale, ma pratica. Non c’era quindi, né avrebbe potuto esserci, una contrapposizione tra lui e i dipendenti». Sono gli anni in cui la fabbrica si allarga alla produzione di prodotti di più largo consumo, le pentole e gli oggetti da cucina. Arrivano le nuove generazioni: Angelo (nato nel 1910, sarà lui a portare avanti l’azienda di famiglia), Ernestina e Ferdinando.
Di nuovo una guerra, di nuovo un Paese che deve ripartire e ricostruire, anche grazie al versatile metallo. «In alluminio della Baldassare Agnelli era anche la famosa borraccia che Bartali e Coppi si scambiarono al Tour de France del 1952», annota orgoglioso l’industriale. L’impresa passa da laboratorio artigianale a moderna azienda. Un passaggio anche simbolicamente segnato dalla morte del capostipite nel 1957, quel Baldassare divenuto «Cavaliere», l’uomo che aveva portato dall’Est l’alluminio in Italia.
Il volume racconta dal punto di vista industriale gli anni del miracolo italiano, con Angelo che decide «di non abbandonare l’alluminio nel pieno del boom economico, quando molti si convertivano all’acciaio, e anzi portò l’attività di estrusione all’interno del gruppo: fu la nostra fortuna, una scelta dettata dall’esperienza accumulata nel settore e dalla consapevolezza delle proprietà di questo straordinario metallo». E poi, ancora, il dibattito sulla sicurezza dell’alluminio e il passaggio che Agnelli definisce «dagli anni di piombo agli anni dell’alluminio», con un suo uso sempre più ampio, in campo aeronautico, ad esempio, o nelle comuni lattine per alimentari.
La Agnelli è adesso alla terza generazione: l’autore parla delle sfide attuali, quella con la Cina, innanzitutto. Ma anche quella per l’ambiente per cui l’alluminio, ben riciclabile, appare materiale ideale. Sono però le storie delle persone quelle che colorano e danno vita al volume. Come quella dell’operaio Emilio Facoetti che ogni mattina, «arrivando, svegliava la famiglia con il rumore del suo motorino, alle 7,30 in punto; doveva cominciare alle 8, ma si presentava in anticipo ad aprire il cancello, perché era lui che aveva le chiavi. In buona sostanza, era diventato uno di famiglia».