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 2021  novembre 25 Giovedì calendario

I racconti di Bruno Vespa sul Quirinale

A quando risale il suo primo ricordo legato al Quirinale, Bruno Vespa?
«Al 1972 quando venni scelto dal telegiornale allora unico, a dispetto dei santi, come quirinalista. La famiglia Leone avrebbe voluto Claudio Angelini, eccellente collega e loro amico di famiglia. Ma Biagio Agnes, per fare dispetto a Nino Valentino, capo ufficio stampa del Quirinale, col quale non si amavano per questioni meridionali a me ignote, mandò me. Ricordo ancora un telegramma rosa, ai tempi erano quelli di Stato. Pensavo a un ringraziamento. Invece era un terribile cazziatone proprio da Valentino perché avevo “tagliato” un discorso del presidente della Valle d’Aosta durante una visita di Leone. In accordo con Agnes, e con Villy de Luca, che dirigeva il tg, gli risposi: “Tu fai il tuo mestiere e io il mio!”. Fui convocato al Quirinale per un chiarimento. Ai tempi si poteva parcheggiare nel cortile, ricordo che nella curva rischiai un frontale con la Fiat 130 di Donna Vittoria. Quando scrissi nel 1978 il libro “…E anche Leone votò Pertini”, proprio Leone, che era stato mio indimenticabile professore di Procedura penale, mi disse: “Ma io non ne sapevo niente”… Anche questo è il Quirinale».
Nel libro che lei ha dedicato al Quirinale scrive che è impossibile fare previsioni, al Colle nessuno si candida mai.
«A mia memoria, l’unico a essersi candidato, dopo la fine del settennato di Antonio Segni, fu Giuseppe Saragat che aveva battuto Leone alle elezioni del 1964. Aveva detto: “Ora tocca a me e basta”. E così andò, dopo un’elezione molto tortuosa. Fu l’unico leader politico ad approdare al Quirinale».
Sempre manovre complesse…
«Sempre. La stessa elezione di Francesco Cossiga fu un’operazione politica brillantissima di Ciriaco De Mita, un caso davvero unico al primo scrutinio, ma in accordo con i comunisti. E l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi, con una votazione “aperta”, avvenne alle spalle del povero Franco Marini. Massimo D’Alema e Walter Veltroni per i Ds si misero d’accordo con Silvio Berlusconi e con Gianfranco Fini grazie alla mediazione di Altero Matteoli, livornese ministro di Alleanza nazionale. E Marini, segretario del Ppi, lo seppe solo poche ore prima. Eppure conosceva tutti gli angoli del potere. In quelle ore il nostro comune amico Edoardo Valentini, un mito del vino italiano, mi regalò un bianco di suo padre del 1961, una rarità. Marini mi disse la mattina della sconfitta: “appena eletto presidente della Repubblica, verrò a berlo a casa tua…”. Tre ore dopo si ritirò».
Quirinale significa anche, o forse soprattutto, franchi tiratori, come nell’ormai storico caso di Romano Prodi, di cui è appena uscito il libro «Strana la mia vita», scritto con Marco Ascione per Solferino. Ma quanti furono?
«Lo sa meglio di me lo stesso Prodi, che ne scrive…ed è arrivato a 140. E poi per la conta dei voti, e dei possibili franchi tiratori, vale la regola del secchiello bucato».
Il secchiello bucato?
«Semplice. Ciascun candidato deve fare i conti non con i voti che ha, cioè dei suoi, chiunque siano i suoi, e che sono nel suo secchiello. Ma il secchiello è bucato per i franchi tiratori. Il vero conto è capire se la pompa esterna porterà più o meno acqua di quella che esce dal buco dei franchi tiratori. Semplice, no?».
L’elezione più crudele per il candidato sconfitto?
«Beh, ce ne sono state molte. Sicuramente la sconfitta di Prodi, in Africa, fu una pagina amarissima. E poi Fanfani».
Nel suo libro si legge, per le votazioni del dicembre 1971 che portarono Leone al Colle: «Fanfani era presidente del Senato e presiedeva quindi i lavori accanto a Sandro Pertini, presidente della Camera, che leggeva le schede. Quando Pertini ne dichiarò una nulla, Fanfani aguzzò lo sguardo e purtroppo lesse “Nano maledetto, non sarai mai eletto”. Fu subito leggenda».
«Amintore Fanfani è stato l’eterno sconfitto, da questo punto di vista. Nel ‘71 era il candidato ufficiale della Dc»
E Andreotti?
«Certamente teneva molto al Quirinale. Nel maggio 1992, lo sappiamo, il candidato della Dc Arnaldo Forlani mancò l’elezione per 29 voti, attivati dagli andreottiani, e fu felicissimo di ritirarsi. La corsa di Andreotti, che contava sui voti dei post comunisti, fu interrotta dalla strage di Capaci».
In «Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)» (Rai Libri) parla di una possibile elezione di Mario Draghi, ponendosi però molte domande. Conferma?
«Nella spericolatezza delle previsioni è l’ipotesi che, al momento, rischia di meno. Ma attenti ai franchi tiratori».