Avvenire, 25 novembre 2021
Azzardo digitale, nel 2020 ogni giocatore ha perso in media 670 euro
Ci si deve registrare sul sito del concessionario, per scommettere, puntare su una roulette, smazzare le carte virtuali del poker o schiacciare i tasti sul display dello smartphone. E così, da quando esiste l’anagrafe del gioco d’azzardo online, sono stati aperti quasi 14 milioni di conti di gioco (per l’esattezza: 13milioni e 686mila). Di questa massa di borsellini sul web, ben 4 milioni e 277 mila sono stati attivati nello scorso anno, il primo della pandemia da Covid-19. Ma quanti siano effettivamente le persone fisiche agganciate a tale pratica non è stato ancora documentato da chi detiene le informazioni per conto dello Stato, cioè dai Monopoli. Non di meno, una stima attendibile porta a concludere che si tratta di una cifra di tre milioni di persone. E bbene, questa popolazione nel 2020 ha puntato online 40 miliardi e 50 milioni di euro, e ha perso 2 miliardi e 356 milioni. In media ognuno ha lasciato al banco digitale 670 euro, dopo aver passato ore e ore lanciando e rilanciando: fino a movimentare 13.350 euro procapite di giocato “lordo”. Questo è il bilancio (sempre in media) di denaro e di tempo di vita consegnato ai tavoli verdi virtuali. E tale è la misura di una quantità fisica (i soldi) e di una entità immateriale (il tempo di vita, le relazioni umane): entrambe bruciate, qual che sia il consuntivo monetario. A ll’azzardo online lavorano peraltro poche centinaia di dipendenti.
Minimo l’apporto all’impiego di personale. Per montare il mega-affare basta un server nella rete, una help line per i clienti da assistere e, soprattutto, un sistema di algoritmi che permetta alla macchina di somministrare alle persone le fasi delle gratificazioni (cioè dell’erogazione di premi) e delle frustrazioni (cioè delle perdite). Ogni 19,2 turni di giocate online si perde tutto il denaro che si ha a disposizione prima di iniziare. Nell’alter- narsi di vincite e di perdite, il software ha programmato di far svuotare le tasche dopo almeno una ventina di tentativi. Negli altri “giochi” (che giochi non sono), quelli che sono collocati in un locale fisico, per uscire spennati ne bastano molti di meno di girate nella macchina (in media 4,2). Si inizia così un viaggio nelle acque non limpide dell’azzardo di Stato che si pratica nel web. S cavando emergono informazioni che inducono a riflettere. Sgombriamo subito il campo dall’argomento dell’importanza delle entrate per lo Stato dalla macchina della sorte sul web. Tramite i Monopo-li, infatti, perviene all’Erario un solo euro ogni 4 persi dai giocatori. Il resto va alla compagine dei concessionari. E allora il conto è il seguente: nel 2020 all’amministrazione pubblica sono andati 594 milioni, e alle società (la maggior parte con sede fiscale all’estero,
anche negli stati offshore) ben un miliardo e 672 milioni. Ma davvero ha senso un simile dirottamento di reddito delle famiglie verso la macchina online dell’azzardo? I dubbi si moltiplicano, appena osservando la composizione per fasce d’età. I giovani-adulti, ovvero la popolazione maggiorenne e quella fino al compimento di 24 anni, sono più di un quarto del totale (28,4 %) come pure gli altri giovani (tra i 25 e 34 anni) che rappresentano il 27,4 per cento. Le persone di mezza età, già mature, sfiorano il terzo dei clienti in totale. Compaiono infine 175 mila conti di ultrasessantacinquenni. E quanto partecipano le donne ai giochi d’azzardo online? Non siamo ancora pervenuti alle “pari opportunità”, ma la forbice si va restringendo negli anni. Ormai la differenza di genere pesa per il 23 per cento del totale, con uno sviluppo degli ultimi cinque anni che mostra non esser troppo lontano da un amaro equilibrio tra i sessi. Fin qui le prime infor- mazioni reperibili su questo grande, secondo comparto dell’azzardo “legale e sicuro”. Ed è già un progresso, almeno nella conoscenza. Ancora ieri, infatti, i dati sulla massa dei consumatori del gambling online era stranamente appannaggio esclusivo dell’industria dei casinò e delle scommesse sul web. Dalla metà dello scorso decennio, con il benevolo apporto del Ministero dell’Economia e delle Finanze i database venivano elargiti ai concessionari perché se ne servissero per perfezionare di continuo le strategie di marketing. Per ingegnerizzare nuovi “prodotti” e per coinvolgere il popolo dei giocatori in nuove esperienze. Il tutto avveniva attraverso l’intermediazione dell’Osservatorio Gioco Online del Politecnico di Milano. U na strana iniziativa, promossa con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e con la Sogei, la società in house di tecnologie dell’informazione del Mef. Il progetto è stato sospeso e funzionava così: la Sogei consegnava i dati al Politecnico che, a sua volta, forniva (a titolo oneroso) alle società concessionarie i vari profili di “giocatori”, l’analisi del gradimento e il prospetto dei più “fidelizzati” ovvero delle persone in stato di dipendenza dall’azzardo. Informazioni preziose per lo sviluppo dell’affare. Ma anche una smaccata violazione delle regole etiche di tutela della persona, forse anche per la privacy. E il Ministero della Salute? E le Regioni? Di tutta questa massa di dati a loro niente arrivava allora, e ancora non giunge granché. Dati di proprietà pubblica sono stati impiegati per lo sviluppo di un progetto di business privato. Mentre, per dirla con Tommaso Campanella, «stavamo tutti al buio». Almeno (e solo) a questo è stato messo uno stop