il Giornale, 24 novembre 2021
Una (auto)biografia erotica firmata Drieu La Rochelle
Bene ha fatto l’editore Aspis, seguendo le indicazioni di Marco Settimini, curatore e traduttore della scelta, a riunire in un unico volume tre testi, di cui due inediti per l’Italia, di Drieu La Rochelle. Intermezzo romano (Pagg. 192, euro 21), il titolo che li raccoglie, rimanda a un racconto non finito scritto nel 1943, così come gli Appunti per un romanzo sulla sessualità. Il terzo testo, La voce, apparso in Francia nel 1934, all’interno della raccolta Journal d’un homme trompé, venne poi espunto, insieme al racconto che le dava il titolo, dall’edizione italiana, Diario di un uomo tradito, uscita per Sellerio nel 1992: uscirà però per le edizioni Via del Vento nel 2002. Il suo inserimento all’interno di Intermezzo romano è particolarmente felice: anche qui la cornice è Roma, una Roma spogliata di ogni marchio di romanità, anche qui il tema di fondo sono le donne e l’amore, anche qui, sotto forma romanzata, c’è una sorta di confessione su una giovinezza ossessionata dal sesso e di una vita in qualche modo dal sesso segnata. Il tutto, scritto senza indulgenze e/o compiacimenti, contribuisce a gettare un’ulteriore luce sul contesto storico in cui Drieu visse e agì, e aiuta a comprendere meglio quei concetti di decadenza europea e di virilità fascista che così tanta importanza hanno nella sua opera. Se c’è un autore per il quale il sesso è politica questi è Drieu ed è perciò interessante vederli più in profondità.
Prima però bisognerà ricordare che Drieu, secondo una bella immagine di Victoria Ocampo, «soffriva moralmente d’insonnia», ovvero, secondo un’altra bella immagine, questa volta di André Malraux, «aveva una memoria selettiva al negativo». Pochi scrittori sono stati come lui così impietosi verso sé stessi, così esigenti quanto a codice morale, così refrattari a ogni sorta di ipocrisia. Drieu, in fondo, non si è mai amato, né come uomo, né come intellettuale, né come romanziere, e le sue confessioni finiscono sempre con l’assomigliare all’elenco di un lungo, interminabile fallimento Eppure, basta vedere, come suggeriva appunto Malraux, l’altra faccia della medaglia, per accorgersi che Drieu fu circondato in vita da stima, ammirazione, simpatia, ci fu una gara per salvarlo dall’epurazione, le donne da lui amate gli dedicarono un fedele culto della memoria...
Ha notato giustamente Julien Hervier, il curatore per Gallimard degli Appunti per un romanzo sulla sessualità, che un lettore contemporaneo, nato e cresciuto cioè in un Occidente dove la sessualità è un genere di consumo, fatica a comprendere che cosa, appena un secolo fa, essa fosse per un adolescente, lo stato di «vera e propria frustrazione» nel quale un ragazzo, nell’epoca del trionfo dei valori borghesi, viveva, a meno di non ricorrere al servizio delle prostitute. «Incessantemente sorvegliati dagli adulti, educati in istituti che rispettavano strettamente la separazione dei sessi, privi delle libertà date da vacanze indipendenti, questi giovani avevano grandi difficoltà a incontrare compagni della stessa età e dello stesso ambiente, soprattutto se, come Drieu, vissero a lungo una condizione di figli unici, con dei genitori che, per problemi economici o di scarsa socialità, non ricevevano nessuno». D’altra parte, anche se tutto ciò fosse stato possibile, a rendere comunque difficoltoso il tutto provvedevano altre interdizioni: le ragazze erano chiamate a difendere la loro verginità sia nell’ottica cattolica della sacralità dell’unione, sia in quella laico-utilitaristica di un capitale da non intaccare fino alla conquista di un buon partito, e per quelle che, per temperamento, curiosità, anticonformismo e passione, sarebbero state pronte a infrangere ogni divieto e ogni tabù, restava il terrore della gravidanza extramatrimoniale che una pratica contraccettiva ancora rudimentale trasformava spesso in aborti degni di un macellaio più che di un medico.
Un tale stato di cose ebbe sulla psicologia maschile un impatto foriero di una drammatica dicotomia: da un lato la realtà delle esigenze sessuali, dall’altro un senso dell’onore che investe proprio chi, se non ne fosse portatore suo malgrado, disonorerebbe volentieri le giovani amiche. La dissociazione, insomma, fra sesso e sentimento, favorisce l’idealizzazione da un lato, ma porta a vedere nell’atto sessuale più una degradazione che un piacere o una conquista. Anche Drieu, dunque, si costruisce mentalmente un doppio femminile che vede, da un lato, l’Infermiera bianca, verginale, procreatrice, materna e dall’altro l’Infermiera rossa, prostituta, infida, calcolatrice.
Inoltre, nell’esperienza di Drieu il complesso edipico è presente con consapevolezza da parte di chi ne è affetto e quindi tutta la lettura del successivo comportamento è profondamente diversa. Drieu è uno che, bambino, ha nutrito un amore incestuoso verso la propria madre e un odio verso il proprio padre, quest’ultimo visto da un lato come un rivale e dall’altro come un incapace che li ha condotti al fallimento, ma questo lungi dal farlo pendere verso la figura materna gli ha fatto aprire gli occhi su quella che giudica «la ripugnante e vischiosa sentimentalità femminile, quella stessa che permette alla donna di mancare di dignità, di restare allacciata e piangente a uomini che non la amano e la umiliano, vittima e carnefice di sé stessa». Così, alla fine, Drieu ripeterà con le donne il comportamento del padre, ma mentre c’è in questi l’assenza di un qualsiasi rimorso, in Drieu resta la consapevolezza di un rapporto sbagliato.
L’elemento freudiano, Drieu lo spiega bene in questi Appunti per un romanzo sulla sessualità, non è in lui accidentale e/o innocente. Del resto, Freud arriva in Francia grazie anche all’attenzione dei surrealisti e Drieu è per un certo tempo un loro compagno. Rispetto all’inconscio e ai complessi, Drieu è tuttavia più avanti, più che un soggetto psicoanalitico è lo psicanalista di sé stesso: «Freud. Certo, ho amato mia madre. Ma lo sapevo. Si desidera il corpo della propria madre, poi si ha orrore di questo desiderio e non solo perché la coscienza sociale si risveglia, ma anche perché la madre invecchia. Verso i dodici anni, quando la pubertà si era del tutto risvegliata, desideravo coscientemente mia madre, sapendo cioè che era un crimine, sedotto da quel gusto unico, e contemporaneamente sentivo nascere in me rabbia e disprezzo perché lei invecchiava e imbruttiva».
Del male di vivere del suo tempo, Drieu è dunque testimone e paziente esemplare. C’è questo mondo dominato dall’immagine equivoca del bordello da un lato, della vergine sacrificale dall’altro, c’è un vecchio modello di società borghese che va in pezzi con la Grande guerra e, a conflitto finito, rimanda a casa dei reduci che si portano nella mente gli orrori e il disprezzo delle convenzioni. C’è fortissimo il tema della decadenza di una nazione, di un popolo, di una civiltà, a cui sia La voce, sia Intermezzo romano rimandano, che si mischia con quello della sterilità individuale, della paura nei confronti del futuro. C’è, insomma, in questo trittico d’autore, fra pubblico e privato, fra annotazioni ed elucubrazioni, fra interessi intellettuali e passioni, tutto l’armamentario ideologico, sentimentale e politico che via via Drieu ha dipanato nei suoi libri, nelle sue azioni, nella sua vita. L’estrema sensibilità, l’eterno senso di colpa, l’incapacità sempre e comunque a giustificarsi e ad assolversi, il disprezzo verso sé stesso, il complesso rapporto di amore e odio verso l’altro sesso, raccontano Drieu quanto, se non meglio, una classica biografia di soli fatti e gesta.