Corriere della Sera, 24 novembre 2021
Lettere di Pasolini a Morante, Ungaretti e Palazzeschi
A Elsa Morante, Roma
Roma 11 agosto 1956
Carissima Elsa,
ti scrivo, anziché telefonarti (condivido con Gadda l’odio per il telefono) per ringraziarti del tuo dono. Un po’ in ritardo: ma tu sai cosa sono i giorni: entità irrisorie, fenomeni appena percettibili (se non per provarne bruciature tremende): tre o quattro giorni sono scivolati via così, pieni del tuo pensiero.
Aggiungi una maledetta incertezza: pareva che dovessi partire immediatamente per Livorno da Bassani, per una sceneggiatura. Poi un contrordine mi ha bloccato: d’altra parte resta aperto il problema della villeggiatura con mia madre, che non posso decidere finché non arrivi un nuovo ordine da Livorno. Un disastro. Pensa che, con questa scusa, non solo non scrivo più una riga, ma non leggo nemmeno. Vado in giro come un pazzo quieto per le fornaci della periferia, e passo notti da sonnambulo tra covi di puttane e depositi di refurtive. Il tutto è grandioso, ma arido. L’anima non solo non cresce, ma si accartoccia... Ti abbraccio affettuosamente,
Pier Paolo
Roma, gennaio 1965
Cara Elsa,
capisco che il principio del diritto a essere pagati è sacro. Ma ci sono delle cose ancora più sacre. Del resto da che mondo è mondo ogni debitore ha sempre usufruito di qualche proroga, anche da parte degli strozzini. Le tue escandescenze sono meravigliose, ma qualche volta ce le ho anch’io. È tutto il giorno che ci penso, e, giunto alle due di notte, dopo aver lavorato come una bestia tutto il giorno, e sofferto come una bestia per quello che mi si riferiva di te, sono giunto alla conclusione che ho il diritto di sentirmi offeso.
Posso giurarti su mia madre che non ho mai avuto debiti in tutta la vita: che sia propria un’amica come te, a farmi pesare il mio primo debito in questo modo, in un momento in cui sulla mia casa c’è una reale minaccia di pignoramento, mi sembra orrendamente ingiusto. Evidentemente sotto questo tuo comportamento furente per poche miserabili lire, c’è qualcos’altro, qualcos’altro che il nostro Freud spiega e il tuo Budda condanna. Ma tu chiami sempre gli altri responsabili del loro inconscio: questa volta lo faccio anch’io con te. L’ulcera, alla sua ora, le due di notte, mi soffoca da dentro, pensando all’ombra che si è distesa su quel fatto bellissimo della mia vita che sei stata tu in questi anni.
Tuo Pier Paolo
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A Giuseppe Ungaretti, Roma
Roma, 16 settembre 1955
Carissimo Maestro,
sono tanti giorni che Le voglio scrivere questo biglietto: ma coatto a lunghe assenze dal mio vecchio, confidente e disordinato tavolo di lavoro, devo trascurare le cose più preziose. È il cinema che mi vuole, e che purtroppo io voglio (per la «grana»: ma Lei sa che vita stentata ho condotto per questi tre o quattro anni: e penso di non essere colpevole se ho di mira una certa tranquillità economica, per poter lavorare).
Volevo scriverLe per ringraziarLa della sua simpaticissima, poetica presa di posizione a favore di «Ragazzi di vita» a Viareggio. Tutti gli amici me ne hanno parlato: e io ho ricostruito a mosaico, dai vari, monchi referti, la Sua figura di mio difensore. E con un tale impeto di simpatia, che, non so se nella realtà, quando La rincontrerò, ma certo nell’immaginazione non faccio altro che abbracciarLa.
Adesso, pur nel marasma cinematografico – si parla addirittura di Indocina – sto finendo di correggere le bozze dell’Antologia popolare:1 spero di venirGliela a portare presto, e spero soprattutto che Le piaccia (so del resto che Lei si è molto interessato della poesia popolare brasiliana). Intanto riceva, con la Sua Signora e Sua figlia, i più affettuosi saluti del Suo gratissimo
Pier Paolo Pasolini
Roma, 25 giugno 1956
Carissimo Ungaretti,
il 4 Luglio ho il processo, a Milano. Sono almeno dieci giorni che mi avvicino all’apparecchio per telefonarLe, e ci rinuncio sempre, scoraggiato dalla richiesta che Le devo fare. «Devo» è la parola, perché è Garzanti che me lo impone. Lui mette i soldi, moltissimi, e ha quindi su di me dei diritti: io non posso rifiutarmi almeno di tentare. Devo chiederLe se può venire su a Milano quel giorno a farmi da testimone: Suoi compagni di sventura sarebbero Schiaffini e Contini. (Al ritorno potremmo passare dal Forte, a salutare gli amici che sono là, De Robertis, Bertolucci... e, se sarò assolto, festeggiare l’assoluzione.)
Ecco dunque scritto il programma che non ho avuto il coraggio di dire a voce. Penso che non ci sia bisogno, ora, con Lei, di ricorrere alla captatio benevolentiae, alla peroratio. Questo processo mi ha così umiliato e depresso in questi mesi che non sono quasi più riuscito a lavorare al nuovo libro; e ha gettato l’orgasmo e l’inquietudine in mio padre e mia madre, così vulnerabili, e già così provati che basterebbe anche molto meno di una mia condanna a respingerli nell’angoscia in cui sono vissuti in questi anni. Non posso che dirLe che spero molto nel Suo entusiasmo e nella Sua generosità, e ripeterLe che sono infinitamente addolorato per questa mia coazione. Mi perdoni. Riceva i più affettuosi saluti dal Suo dev.mo
Pier Paolo Pasolini
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A Paolo Volponi, Urbino
Roma, 8 agosto 1956
Carissimo Paolo,
come mi è dispiaciuto il modo del nostro distacco. Siamo stati due stupidi. Ad ogni modo, non so perché, non credo a Ivrea. Sarà un metodo subdolo dell’Es per attutire e schivare il dispiacere, ma per questo inverno ti vedo ancora nella calda aria romana, nella eventuale «neve folle». Io dopodomani parto per Livorno, per un nuovo improvviso lavoro con Bassani: qui continuo a non far niente, cioè a far solo l’amore: sono ridotto a una impalcatura, al guscio di un’ostrica.
Vedo a colonne, a reggimenti le tue giovinette romane, odiosamente estive. E tutto rotea a vuoto: comincio veramente ad amare meno Roma. Adesso anche tu te ne sei ito, e il vuoto è aumentato un bel po’ con la sottrazione del tuo corpaccio e la tua guanciona di fratacchione. Ti abbraccio forte, tuo
Pier Paolo
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Ad Aldo Palazzeschi, Roma
Roma, 22 maggio 1968
Caro Palazzeschi,
è per il grande amore che ho per lei, che ho il coraggio di scriverle un bigliettino come questo. Non possiedo la sua meravigliosa leggerezza, e se gioco non gioco con la sua grazia. Mi sono messo a giocare al Premio Strega, con tutti i giochini conseguenti (come scrivere questo biglietto).
Insomma, vorrei il suo voto, perché mi aiuti ad avere la gioia infantile e un po’ sciocca di vincere. Lasci che l’abbracci affettuosamente, suo
Pier Paolo Pasolini