La Stampa, 24 novembre 2021
A proposito di Zerocalcare
Zerocalcare è Zero, il protagonista di Strappare lungo i bordi, la serie Netflix di cui parlano tutti, largheggiando in superlativi come sempre, perché Zerocalcare è un talento acclamato e strattonatissimo – «il lavoro si è divorato tutti i miei spazi», ha detto. È l’Andrea Pazienza dei millennial, la generazione a cui appartiene e della cui gioventù, in questo lavoro, ha scritto il seminario. Lo ha scritto come fa sempre: ambientandolo quasi tutto nel solito salottino scaciato di un appartamento di Rebibbia, tra la tv e il divano sul quale siede il fumetto di se stesso con i soliti jeans e l’Armadillo che è la sua solita, sfaticata coscienza. Soprattutto, lo ha scritto in romanesco e questo ha polarizzato Twitter e poi i giornali e poi certi aperitivi e tutta o quasi tutta l’Italia trenta-quarantenne s’è trovata coinvolta in una faticosissima guerra dei mondi. Tutto un pro o contro Calcare, vi meritate Alberto Sordi, e allora Gomorra?
Emanuele Trevi, scrittore, dice alla Stampa: «Non si tratta di romanesco: Zerocalcare vuole esprimersi così come parla, perché non gli piace la lingua scritta. La sua è una perfetta evocazione dell’oralità».
Zerocalcare ha scritto su Twitter: «Madonna regà ma come ve va d’engarellavve su sta cosa». Ventiquattr’ore dopo, ieri, è andato a gestire i profili social di Netflix per mezza giornata e ha segnalato le serie tv meno conosciute che gli sono piaciute di più: ha scritto di tutte una breve sinossi e una vignetta.
Zero assomiglia al Semola della Spada nella roccia: come lui, ha gli occhi sempre sgranati, la purezza, la curiosità, la radicalità, l’insicurezza. È l’opposto di Zanardi, lo studente cattivo dei fumetti di Pazienza, quello che agiva senza scrupoli e sentimenti, che non sentiva alcun peso e che incarnava il peggio del riflusso degli anni ’80. Nelle differenze tra Zanna e Zero, che si portano quarant’anni, c’è tutto o quasi tutto quello che è successo ai ragazzi dal ’77 e ai loro figli.
Strappare lungo i bordi racconta allora com’è stato crescere per i figli dei boomer, quelli che hanno pensato che sarebbe bastato studiare per diventare e avere quello che volevano e che, invece, hanno dovuto rivedere i piani perché l’Occidente s’è frantumato, i soldi sono finiti, la storia è ricominciata e loro si sono accasciati sul divano, hanno cominciato a temere tutto, si sono abituati al fallimento e ad avere un alibi (non trovo lavoro perché c’è la crisi dei mutui; non scendo in piazza perché al G8 ci hanno menati; non le dico che la amo perché «amare una femmina è da froci, sintesi perfetta daa tradizionale omofobia de borgata e della misteriosa eterofobia che nessuno ha mai visto con esattezza ma che mi lasciava comunque piuttosto confuso»). Tutte cose masticate e note, che però lui ha storicizzato, romanzato, facendocene in fondo vedere la bellezza: facendocele perdonare.
Giulia Caminito, scrittrice, dice alla Stampa: «Zerocalcare ha un’innegabile capacità di usare il sarcasmo e il dialetto e i suoi personaggi per stanare le beghe umane e per dire cose valide sulla generazione del precariato. Forse avrei voluto qualcosa di più politico da lui». Forse lo avrebbero voluto in tanti, perché Zero è incastrato in un ruolo nel quale un po’ ha indugiato e un po’ è stato ficcato a forza: la voce dei movimenti, il punk buono delle periferie, l’attivista dei centri sociali che si rifiutava di collaborare con i giornali. Sono passati molti anni da allora e di qualche giornale Zerocalcare è diventato un collaboratore stabile. L’Espresso l’anno scorso scrisse che era l’ultimo intellettuale italiano. Non è per questa concessione al mainstream che piace a tutti – vecchi, giovani, Z, millennial, boomer – e nemmeno perché quella concessione non lo ha cambiato: sfotte Netflix su Netflix; in tv ci va in tuta; dice (in francese) che a Parigi si sente lontano da casa come quando è a Milano.
Dice Trevi: «Alcuni scrittori sono capaci di lavorare sul vissuto con margini di immaginazione che vanno a rafforzare l’idea centrale di fare una specie di autobiografia attraverso l’espressione narrativa. Io faccio dei libri il cui protagonista è Emanuele Trevi e sento quel personaggio come quel pupazzetto senza chiaroscuri che fa Zerocalcare, la cui forza è non cambiare mai. Prende dalla vita il dato manipolabile che diventa poi fatto artistico. Dovrebbe esprimersi in italiano standard? Fare invecchiare il suo personaggio? Io spero che non invecchi mai, però mentre guardavo la serie mi sono chiesto: cosa farà alla mia età? Questo suo disincanto in che modo produrrà nuove immagini del mondo? Il fatto che io mi interroghi su che futuro può avere come autore è prova della sua forza: l’esperienza è una matrigna e lui è uno che ti porta a interrogarti proprio su questo. Mi ripugna la dittatura turca ma è più sensato che i turchi si siano imbufaliti per via della bandiera curda presente nella serie rispetto all’innervosirsi perché Zerocalcare gira intorno al suo mondo e non lo cambia e non cresce. Il sapere artistico è un sapere di tipo emotivo, analogico: può e persino deve ripetersi, indulgere, inventare».