la Repubblica, 24 novembre 2021
È Daniel Boulud lo chef più bravo del mondo
«Sono le 20,30 e la cucina di Le Cirque sta lavorando a un ritmo frenetico e febbrile. La crème de la New York crème si è appena sistemata nei posti più ambiti. Il proprietario Sirio Maccioni entra in cucina: “Chef! Ho dimenticato di dirti che Paul Bocuse e Roger Verge sono qui, e il tavolo del re di Spagna sarà di dodici persone, non otto». Daniel Boulud annuisce concisamente. Non appena Maccioni scompare di nuovo sul pavimento della sala da pranzo, lo chef inizia a frugare tra le scatole di prodotti raccolti al mercato quella mattina. I tartufi, il foie gras e il lardo toscano di Colonnata, contrabbandati dopo l’ultimo viaggio di Maccioni in Italia, vengono raccolti e sono pronti per essere trasformati in portate speciali per i Vip. Mentre la cucina gli ronza intorno, Boulud abbassa la testa e inizia a creare. È il 1989, ed è solo un’altra notte a Le Cirque».
Non a caso, queste righe sono rubate da una serie del magazine StarChefs intitolata “Mythic Kitchens”, perché così nascono i miti. Come quello di Daniel Boulud, appena incoronato miglior cuoco del pianeta Terra da Les Grandes Tables du Monde. Questo riconoscimento provocherà diatribe infinite, perché de gustibus non disputandum est, ognuno ha le sue idee quando si stuzzica il palato, e l’orgoglio nazionale condiziona sempre i giudizi sulla cucina. Nessuno tuttavia può contestare che la storia dello chef di Lione trapiantato a New York trascende le cucine dove è nata, per raccontarci un capitolo significativo della cultura del nostro tempo.
Siamo partiti da Le Cirque perché Daniel sarà pure francese, ma senza il leggendario ristoratore italiano scomparso l’anno scorso non sarebbe mai esistito, almeno come lo conosciamo adesso. La sua stella si accende quando Maccioni lo chiama a Le Cirque, e lo riconosce lui stesso: «Sirio era un pazzo così imprevedibile, e il più grande ristoratore di New York». Una manna, per un giovane in ascesa come lui: «Ricevevamo ogni giorno roba fresca dal mercato, e nel bel mezzo del servizio saltavamo e iniziavamo a creare un nuovo piatto, perché non ci avevamo pensato fino a pochi minuti prima». E ancora: «Sentivo che Le Cirque era il posto che mi avrebbe dato più libertà, più opportunità di mostrare il mio talento. E poi c’era il piacere di trasformare molti dei classici del ristorante in classici migliori: fare meglio la bouillabaisse, il pot-au-feu, il bollito misto». Oppure inventare “la paupiette of sea bass”, le “black tie scallops”, la “tuna tartare al curry”.
Oltre al re di Spagna, in sala si andava da Sophia Loren all’avvocato Agnelli che ospitava Henry Kissinger. Una tradizione di eccellenza che Le Cirque aveva conservato quando si era spostato dal Mayfair Hotel al New York Palace Hotel, e infine al Bloomberg Building, dove si erano deliziati presidenti come Trump, Reagan e Clinton, ma anche premier italiani come Monti e altri.
Siccome il talento non si può contenere, nel 1993 Boulud era andato per la sua strada, fondando Daniel. E poi ristoranti a Toronto, Montreal, Dubai, Singapore, le Bahamas. L’ultimo che ha aperto, nel maggio scorso, si chiama Le Pavillon e sta nel nuovo grattacielo One Vanderbilt, appena costruito davanti al Chrysler. Un segno della rinascita di New York, l’unica città che poteva inventare anche questo mito.