la Repubblica, 24 novembre 2021
La conversione della chiesa No Vax in Montenegro
PODGORICA — La chiesa del Montenegro si è arresa. La chiesa ortodossa, onorati due morti di Covid eccellenti, ha dovuto dire ai fedeli, qui numerosi: vaccinatevi. I risultati sono stati comunque scarsi, visto che la piccola Repubblica affacciata sull’Adriatico vede solo il 40,6%della popolazione immunizzata con doppia dose. La presa di coscienza, e la recente accettazione della scienza, da parte del nuovo metropolita ortodosso del Montenegro, Joanikije, è un passo avanti notevole in un Paese religioso, scettico nei confronti delle politiche sanitarie di Stato e con poche difese contro il virus.
Il metropolita si era insediato lo scorso 5 settembre planando in elicottero sullo spazio antistante il Monastero di Cetinje, antica capitale reale e oggi residenza ufficiale della presidenza montenegrina. La sua intronizzazione era stata oltre modo faticosa e, per buona sorte, piuttosto solitaria, visto che migliaia di nazionalisti montenegrini avevano alzato barricate sulle strade di accesso al monastero contro l’insediamento di un capo della chiesa imposto a maggio, per acclamazione, dal Sinodo riunito a Belgrado (l’ortodossia riconosciuta, qui, è quella serba, il “rito montenegrino” è considerato illegale). Già, i blocchi stradali avevano lasciato lontano dalla cerimonia decine di vescovi, molti fedeli e diverse autorità: il nazionalismo montenegrino, questa volta, aveva prodotto una cerimonia con assembramento limitato. Non era cosa da poco per una Repubblica che nei due ultimi autunni, il 2020 e quello in corso, ha perso ogni controllo sul virus e per una chiesa locale che si è data da fare con ostinazione per consentire la sua propagazione. Virus e politica, qui, si sono intrecciati, con risultati devastanti sul piano clinico tanto che oggi il Montenegro ha il più alto rapporto al mondo tra contagiati e popolazione.
Il nuovo metropolita, Joanikije appunto, aveva dovuto sostituire il suo grande educatore, lo storico capo dei vescovi Amfilohije, al secolo Risto Radovic, un pezzo di storia della chiesa del Montenegro che dal 1990 all’anno scorso era riuscito a rievangelizzare un’area fortemente atea (e, fino al suo insediamento, comunista). Joanikije era ancora un monaco quando affiancò il grande metropolita e poche decine di vescovi nell’opera di ricostruzione della religione ortodossa in Montenegro. Amfilohije in trent’anni di attività missionaria ha mostrato una religiosità fortemente reazionaria, anti-moderna, invocando castighi sugli omosessuali del Paese e schierandosi in maniera plateale, nel corso della guerra civile, con Milosevic e Karadzic. Nelle ultime due stagioni il metropolita colonnello, uno dei suoi soprannomi, si è opposto con forza al contingentamento delle celebrazioni liturgiche e delle processioni chiesto dal governo per fermare il Covid nell’énclave dei Balcani. Amfilohije di Cetinje ha voluto dire la messa senza mascherina, vantando, poi, l’assenza di protezioni in volto e guadagnando l’altro soprannome, il vescovo negazionista. Il vecchio metropolita ha mantenuto questa posizione anche per sottolineare la sua distanza dal presidente socialdemocratico, Milo Djukanovic, che nel 2019 aveva osato minacciare l’esproprio del patrimonio della chiesa del Montenegro attraverso una nuova legge sulla libertà di culto. L’anziano Amfilohije ha capeggiato di persona le veementi proteste contro il provvedimento, anche qui a viso aperto, non protetto. Contribuendo alla sconfitta di Djukanovic nell’agosto 2020. L’attivissimo capo della chiesa montenegrina, tuttavia, con l’ondata dello scorso autunno ha contratto il coronavirus. E non l’ha superato. Complicazioni polmonari l’hanno portato alla morte, a 82 anni, il 30 ottobre 2020. Non aveva voluto darla vinta a un governo che nella prima parte della pandemia – il Montenegro è stato l’ultimo stato europeo a conoscere il contagio – si era mosso con durezza sul rispetto delle politiche sanitarie arrestando fino a 750 persone.
Gli stessi funerali del grande vecchio, svolti nella capitale Podgorica il primo novembre, sono diventati un rito obbligatorio per migliaia di montenegrini e uno dei più grandi cluster d’Europa di Covid-19. In quell’occasione ha contratto l’infezione lo stesso patriarca serbo, Irenei. E anche lui, 90 anni, non ce l’ha fatta. Nel vuoto della chiesa serba (dodici milioni di fedeli in tutti i Balcani) e montenegrina, i vescovi e il nuovo patriarca hanno voluto accompagnare sul trono di San Pietro di Cetinje, il monastero della piccola Repubblica di cui era stato rettore, il successore morale di Anfiloco: il vescovo Joanikije. Il pastore aveva condiviso tutte la fatiche e le battaglie del padre spirituale, compresa quella No Vax. A inizio pandemia la polizia di Djukanovic, in questa battaglia Stato-Chiesa che ha dilaniato il Montenegro, lo avrebbe persino trattenuto per il suo mancato rispetto delle norme anti-Covid.
Lo steso Joanikije, nuovo metropolita, in quei funerali di massa dove si baciava la salma si era preso il Covid. Ma era riuscito a superarlo. E, dopo la sua intronizzazione, con il nuovo autunno di contagi, ha iniziato a predicare: «È necessario vaccinarsi ».