La Stampa, 23 novembre 2021
Intervista al Nobel per la Fisica Michel Mayor
Michel Mayor è un nomade. Sulla Terra e nell’Universo. Quando gli chiedi com’è la vita di un Nobel, ti risponde che è stupefacente. «Negli ultimi 45 giorni sono stato a casa, a Ginevra, non più di tre. Mi hanno invitato in Norvegia, in Spagna, in Marocco. E ora qui a Torino, all’Accademia delle Scienze, dove mi nominano socio straniero, invitato dall’amico astrofisico Attilio Ferrari». E intanto, se il corpo è ben piantato sul Pianeta Terra, l’occhio e la mente puntano l’Altrove. L’Altrove degli esopianeti, di cui è considerato il padre con Didier Queloz. Insieme hanno vinto il Premio per la Fisica nel 2019 per la scoperta del primo pianeta al di fuori del Sistema Solare. Un corpo celeste gigante, soprannominato 51 Pegasi b, dal nome della stella intorno a cui orbita.
Era il 1995 e da allora lui e i suoi colleghi svizzeri, insieme con le migliaia di astronomi europei, americani, cinesi e indiani, continuano ad aggiornare un catalogo di meraviglie e stranezze in perenne espansione. Se ne contano quasi 5 mila, ma è probabile che in questo «zoo» siano miliardi, anche più numerosi delle stelle che gli umani osservano dagli albori delle civiltà. Se il primo della serie era un ingombrante corpo gassoso, l’ultimo, pochi giorni fa, è ancora più bizzarro: Toi 1789 si trova a 725 anni luce da noi ed è così vicino alla stella di appartenenza da essere bollente: 1700 gradi, costretto a percorrere un’orbita vorticosa che dura appena tre giorni. Nel 2015, invece, fece sensazione Kepler-452b, subito sotto i riflettori dei media per essere il «cugino della Terra». È roccioso e non è troppo lontano né troppo vicino dal suo Sole: una condizione ideale per rappresentare un habitat favorevole alla vita.
Professore, un clone della Terra ci manca ancora: quando lo individueremo?
«Presto. Ne sono certo. Entro una decina d’anni».
E c’è già chi immagina di potersi trasferire.
«Direi proprio di no. Il problema sono le distanze. Pensi alla Luna. La sua luce impiega un secondo per arrivare fino a noi, ma agli astronauti dell’Apollo sono serviti tre giorni per sbarcarci sopra. La stella più vicina è Proxima centauri e si trova a 4,24 anni luce e, quindi, faccia lei i calcoli... Immaginiamo i giorni necessari per arrivarci, anche viaggiando a velocità prossime a quelle della luce. E quando, finalmente, arrivassimo nelle sue prossimità, dovremmo rallentare e quindi il tempo provvisoriamente congelato riprenderebbe a scorrere e noi con lui».
Proviamo a sognare: come sarà quella simil-Terra?
«Un pianeta roccioso, nell’area abitabile intorno a una stella. Ma che lì si sia formata la vita è un’altra questione. Penso comunque che debba obbedire alle nostre leggi e che, quindi, dipenda dalle catene del carbonio».
Se ci fosse una qualche forma di vita aliena riusciremmo a identificarla?
«Oggi identifichiamo un pianeta attraverso i transiti di fronte alla sua stella e, perciò, attraverso le variazioni dell’intensità luminosa. Grazie all’infrarosso abbiamo cominciato anche a osservare la presenza delle atmosfere e a studiarne la composizione. Per esempio i diversi gas. Ma al momento non possediamo strumenti così sofisticati per scoprire i biomarcatori».
Cosa sono i biomarcatori?
«Sono le tracce che indicano un’attività biologica, come le molecole della fotosintesi oppure il metano».
Il telescopio spaziale Webb, in partenza il 18 dicembre, avrà uno sguardo così sensibile?
«Più sensibile di quello dei telescopi qui sulla Terra. Ma non così sensibile per vedere atmosfere molto sottili, come la nostra. Altri risultati, comunque, si avranno con il gigantesco Elt, in Cile, dotato di uno specchio di 39 metri».
Trovare gli alieni è al di là delle nostre possibilità?
«Se dobbiamo cercare vita aliena, il nostro Sistema Solare è interessantissimo. Penso a Europa, uno dei satelliti di Giove. Bucare la sua crosta è troppo difficile, ma basterebbe arrivare con una sonda vicino alle fratture del ghiaccio e raccogliere i campioni di ciò che fuoriesce. Lì potremmo trovare del Dna alieno».
E Marte? Il rover «Perseverance» sta raccogliendo campioni di suolo per scovare possibili microrganismi.
«Sappiamo che su Marte c’è stata attività vulcanica e che c’è stata l’acqua. E’ quindi probabile che ci siano tracce di vita fossile o batteri estremofili. Ma non so se riusciremo a trovarli, dal momento che il braccio del rover può scandagliare il suolo a non oltre due metri di profondità».
Intanto Elon Musk progetta di inviare gruppi di coloni sul Pianeta Rosso: lei ci crede?
«Credo che ci vorrebbe l’energia necessaria a sostenere 9 miliardi di umani, qui sulla Terra, per inviarne appena 100 a colonizzare Marte. Non è una prospettiva credibile. Siamo qui, inchiodati sulla Terra».
È vero che il Premio Nobel rivoluziona la vita?
«Assolutamente! Non solo incontri colleghi di tutto il mondo, ma persone che, altrimenti, non avrei mai conosciuto. Mi ricordo di un giornalista svizzero-tedesco. Mi chiese quale fosse il posto di Dio nelle mie ricerche. Rimasi un po’ perplesso e poi risposi che i due ambiti, scienza e religione, sono separati. Ma lui, nell’articolo, mi attribuì una frase secca che non avevo mai detto: "Non c’è posto per Dio nel nostro Universo!"».
Lei è credente o ateo?
«Provengo da una famiglia calvinista ma mi considero agnostico».