la Repubblica, 23 novembre 2021
Al gran ballo del Quirinale
Forse si è cominciato prima del dovuto, già ai primi di settembre, con Benigni che alla Mostra del cinema si è rivolto a Mattarella: «Lei porta fortuna, rimanga un altro po’!». Due mesi dopo siamo arrivati al barista di Draghi; in mezzo c’è già un certo numero di pranzi e pizze a due, festicciole alla Storta e pure una ex olgettina interrogata sull’eventualità di Berlusconi sul Colle («Meglio che rimanga a casa a fare il nonno»).
Forse è inevitabile destino che si attenda all’insegna del fantastico e dello straordinario l’imminente torneo del Quirinale, non tanto perché vi si deciderà l’evoluzione da Repubblica parlamentare a semipresidenziale o suppergiù, ma perché mai come stavolta lo si vive come un grande gioco al massacro, però al tempo stesso come una commedia, un Conclave, un rito bizantino, una corrida, un gran ballo ambientato in un luogo, Montecitorio, a sua volta adattabile a sontuosa cerimonia cannibale, putrida palude, acquario di piranha, House of Cards e mattatoio.
Troppe immagini che si sovrappongono, comprese quelle di esemplare valenza geopolitica tipo il Vietnam, il Libano, i Balcani e ora l’Afghanistan, che lasciano intravedere l’Armageddon, l’Apocalisse, il Chaos ed Helter Skelkter (remastered 2009).
In certi giorni di malumore questa immane pressione fra il mitologico e l’istituzionale si ribalta nel suo contrario e allora viene da pensare a quanto sarebbe bello se l’avessero già eletto, ’sto presidente, in modo da potersene dimenticare appena possibile.
Però l’Italia è l’Italia, terra di passioni sopravvissute agli ideali, per cui quando l’elezione entrerà nel vivo dei catafalchi e delle insalatiere, converrà gustarsela per bene avendo letto Il Presidente di Marco Damilano (La nave di Teseo, 349 pagine, 19 euro) che comunque legittima la febbre in corso documentando come il Quirinale concentri su di sé un tratto romanzesco, quindi una concezione a suo modo comica, ma anche drammatica, se non tragica del potere e della sua solitudine, sorella del vuoto.
Enfasi per enfasi, sia consentito aggiungere un ultimo granellino d’incenso al braciere dell’immaginifico presidenziale, rendendo onore a un fertile inventore di aforismi, il polacco Stanislaw Jerzy Lec, secondo cui la politica si riassume, al plurale, in “gare di Cavalli di Troia”, cioè alla fine ne eleggi uno, ma chissà cosa ci trovi dentro. Che sarebbe, in estrema e ammirata sintesi, il metodo con il quale Damilano organizza e racconta le elezioni e gli altrettanti settennati; soffermandosi sugli antefatti e sulle sorprese, si pensi al caso di Cossiga; ma anche sulle misteriose traiettorie il cui esito, ad esempio, porta a considerare il secondo Napolitano alla base del renzismo, anche se in fondo pure della trappola dentro cui il Rottamatore finisce per buttarsi.
Roba comunque da intenditori. Resoconto stenografico dello scontro tra Moro, Saragat e Segni da cui quest’ultimo, per un ictus, esce per sempre dalla vita pubblica. Aspiranti che si vendono l’anima, vedi D’Alema alla beatificazione del fondatore dell’Opus Dei. Tristi incombenze di messaggeri costretti a dare avviso a candidati bruciati: Andreotti da Sforza, Rumor da Merzagora, a Fanfani il direttore dell’Osservatore romano Manzini va a chiedere per conto del Papa la “rinuncia generosa”. Come pure insolite ambasciate, Pivetti spedita da Scalfaro a offrire il governo a Mario Monti; o luoghi segreti da cui si dipartono le trame e chi si ricordava che a casa di Enrico Letta si accordarono Berlusconi e Bersani su Marini?
Oltre a storia, filosofia e scienza, ovviamente, dei franchi tiratori e senza dimenticare il comparto noir, a cura della pregiata e instancabile ditta nazionale “Dossier&ricatti”, non di rado animata dal concorso, non di rado discorde, di entità insieme fuggevoli e determinanti quali potenze straniere, boiardi d’assalto e consorterie di vario ordine e grado (pregevoli le pagine sulla figura e la carriera del Segretario Generale della Camera Francesco Cosentino).
Lecita a questo punto la domanda: serve tutto questo a decifrare la prossima elezione? Risposta: beh, il passato serve sempre. Obiezione: ma non è ormai e definitivamente cambiato tutto? Beh, anche al tempo della rivoluzione digitale e della pandemia, proprio tutto no. Altra cosa sarebbe se i mille Grandi Elettori, assistiti da qualche Creator Spiritus, si orientassero su un/a personaggio/a che si fosse tenuto/a lontano/a dai giochi e dalle magagne degli ultimi trent’anni.
Per ora si resta dunque alla maledizione del Quirinale che Damilano, per quanto alieno dal pensiero magico, evoca in diverse occasioni, seppur affiancandola ai voti ottenuti la volta scorsa dal conte Raffaello Mascetti, preclaro cine-inventore della Supercazzola, purtroppo e ingiustamente escluso dal nutrito e vario indice dei nomi.