la Repubblica, 23 novembre 2021
Luigi Gubitosi, l’America e gli amici americani
Basteranno le truppe guidate dal generale Petraeus a salvare il soldato Gubitosi? Mentre sull’asse New York-Parigi-Roma si dipana – o forse già s’ingarbuglia – il feuilleton di Tim, che nuovi azionisti finanziari americani vorrebbero comprare e vecchi azionisti francesi fanno sapere di non voler mollare, a latere si svolge un altra vicenda meno centrale per le sorti del Paese e della sua industria, ma affascinante per la natura dei protagonisti e i loro rapporti.
Accade infatti che dietro la decisione del fondo americano Kkr di lanciare non proprio un’Opa, ma perlomeno un abbozzo di Offerta pubblica sul capitale dell’intera Tim, molti sospettino una mossa di disperata vitalità proprio di Luigi Gubitosi. Lui, amministratore delegato del gruppo telefonico dal novembre 2018, sa di essere ormai da un anno nel mirino di Vivendi, che della società telefonica italiana è primo azionista. Venerdì prossimo, un cda minaccia di sfiduciarlo dando corpo ai malumori dei francesi, che gli imputano di non saper gestire la società.
Ma appena la prospettiva è passata dal regno dei pettegolezzi finanziari a quello delle possibilità concrete, ecco apparire un cavaliere bianco, anzi un intero battaglione, genere 7° Cavalleria, sotto forma della potenza di fuoco da 400 miliardi di euro di Kkr. Un fondo tra i cui partner c’è in effetti proprio David Petraeus «sei comandi di cui cinque in combattimento», recita la sua biografia, e un incarico da Direttore della Cia, prima di passare ad altre e si presume più proficue strategie. Ce n’è per rinfocolare i peggiori sospetti di soccorso transatlantico, anche se ieri Gubitosi sottolineava con gli amici, e non senza ragioni, quanto l’interpretazione fosse paradossale: «Non è che adesso Kkr sborsa 12 miliardi perché gli sono simpatico».
Resta comunque che nella carriera di Gubitosi l’America e gli americani giocano un ruolo importante. Di Stati Uniti l’uomo incominciò ad interessarsi quando, da direttore finanziario di Fiat, si vedeva spesso con Gianluigi Gabetti, che oltre ad avere un ruolo guida nelle finanziarie degli Agnelli era di casa a New York. Così casa a New York è stata ed è ancora per Gubitosi – Upper East Side, naturalmente, bell’appartamento anche se non da nababbo – che quando può torna in quel mondo che lo ha formato dal punto di vista manageriale e culturale. Del resto nella sua carriera ha anche incarichi in blasonate banche d’affari a stelle e strisce come Bank of America e un rapporto solido con il fondo Elliott di Paul Singer, che per l’appunto lo ha portato nel cda di Tim.
Che adesso l’offerta di Kkr si concretizzi o meno è tutto da vedere, ma certo il suo arrivo sulla scena potrebbe in effetti dare un po’ di respiro a Gubitosi. Come mandare via infatti un amministratore delegato di una società che sta forse – anche se qui i forse sono molti – per essere sottoposta a un’Opa? Alla domanda dovranno rispondere i consiglieri Tim tra una manciata di ore, mentre la compagine di governo tace prudente. Sola eccezione il solito e stentoreo Matteo Salvini, che invoca un immediato «cambio dei vertici». E anche in questo caso interpretazioni a gogò. Una molto accreditata a Roma vuole il leader leghista in sintonia con la Vivendi di Vincent Bolloré perché il finanziere francese negli ultimi mesi ha offerto – grazie al suo impero mediatico – una platea di tutto rispetto a Éric Zemmour, l’ultradestro pretendente all’Eliseo che sogna di sfrattare Macron e fa sognare anche Salvini. Ma forse sono ricostruzioni che lo stesso Gubitosi bollerebbe come fantasiose. Se un tratto contraddistingue l’uomo, infatti – oltre all’indiscussa velocità di pensiero – è un pragmatismo che gli consente di mixare sempre e comunque competenze e relazioni, senza paura che qualche cocktail gli esca particolarmente indigesto.
Portato alla guida operativa della Rai nella breve epoca in cui Mario Monti fu presidente del consiglio, ad esempio, è riuscito rapidamente a strapparsi di dosso il simbolico loden per indossare panni che lo hanno reso più gradito ai 5Stelle. Proprio da amministratore delegato di Tim ha avuto molte parti in commedia su quel palcoscenico dove si svolgono i rapporti politici nazionali e internazionali e dove negli ultimi anni le quinte sono cambiate a velocità vertiginosa. Nell’agosto dello scorso anno, ad esempio, Gubitosi si piegò senza protestare a una pesante ingerenza del governo Conte che – guarda caso – voleva e riuscì a ritardare l’offerta proprio di Kkr per una quota di FiberCop, la società della rete secondaria di Tim. Ma negli stessi mesi, di fronte a quella che stava diventando una vera e propria crisi diplomatica tra Usa e Italia per la posizione filocinese dei Cinque Stelle e i conseguenti problemi per le forniture dei sistemi 5G, proprio l’ad di Tim si confermò tra gli interlocutori privilegiati degli Stati Uniti.
Del resto che cosa aspettarsi di meno da un uomo che unisce la passione per gli scacchi – gioco strategico più di ogni altro – con una certa passione per uno sport assai meno raffinato come il football americano e che alla vista sull’East River affianca senza remore quella sul Tevere che si gode dalla terrazza della Canottieri Aniene, potere romano allo stato (im)puro? Roma e America, Manhattan e Parioli, tanto che nel teso cda di Tim di domenica pomeriggio molti consiglieri avrebbero frenato Gubitosi nella scelta che voleva già proporre degli advisor per l’operazione Kkr: Merrill Lynch e Goldman Sachs, ovvero due tra le principali banche d’affari del mondo. Ovviamente americane.