Il Messaggero, 22 novembre 2021
In Giappone non si muore più di Covid
Il Giappone non cessa di stupirci. Da Cenerentola dei vaccini è, nel giro di pochi mesi, passato in testa ai Paesi del G7: la percentuale ufficiale dei doppiamente vaccinati è ora del 77% (noi siamo terzi, dopo il Giappone e il Canada). Non solo: sono oramai parecchie settimane che i contagi sono meno di 200 al giorno ed è dal 7 novembre che non si registrano decessi ufficiali.
Come è possibile? Chi segue questa mia rubrica ricorderà che sono sempre stato molto scettico sui numeri locali della pandemia e sulla gestione della stessa da parte del governo giapponese. C’erano le Olimpiadi in ballo, e non sono stato l’unico a sospettare che ci fosse qualcosa di poco chiaro, poco trasparente, insomma, una qualche manipolazione dei dati. I sospetti erano più che legittimi, e condivisi da molti colleghi stranieri e anche locali. La drammatica vicenda dei jitaku hochi, centinaia di pazienti abbandonati a casa, e deceduti per mancanza di cure è pian piano emersa in superficie, e ora si stanno preparando alcune class action da parte dei parenti, fenomeno abbastanza raro in Giappone.
Ma i numeri sono numeri. E i numeri attuali dicono che mentre nel resto del mondo (Cina compresa) ma soprattutto in Europa i contagi sono in preoccupante ripresa, qui sono in picchiata. E questo oramai da parecchie settimane, e nonostante lo stato d’emergenza (molto soft ) sia stato revocato, treni, metropolitana, ristoranti e locali notturni siano di nuovo pieni ed il distanziamento molto relativo.
Solo la mascherina resiste, ma quella è un’usanza che i giapponesi avevano già per proteggersi e proteggere gli altri da batteri vari in inverno e dai vari pollini in primavera. E quindi? Come si spiega questa apparente scomparsa del virus? Tenetevi forte: il virus si sarebbe suicidato.
Da alcuni giorni si sta discutendo e non in osteria, a livello accademico ed istituzionale della teoria apparentemente bizzarra del professor Ituro Inoue, direttore dell’Istituto Nazionale di Genetica. In base a questa teoria, e per ragioni non ancora scientificamente chiarite, in Giappone il virus sarebbe andato sotto stress.
Le modificazioni genetiche al quale era abituato, e che producevano un paio di mutazioni al mese, qui sarebbero aumentate, bloccando di fatto la proteina che le gestisce, chiamata NSP-14, che alla fine non ce l’ha fatta a starci dietro perdonate il linguaggio poco scientifico arrendendosi.
Una sorta di suicidio, insomma. Favorito dal fatto e su questo punto pare però ci sia un consistente consenso scientifico che i popoli asiatici hanno un particolare enzima, l’APO-BEC3A che combatte e respinge con maggior efficacia i virus RNA, che comprende anche il SARS-COV-2, quello che provoca il Covid-19. Questa scoperta risale ai tempi della Sars, che qui in Asia Orientale (Cina, Corea, Giappone) ebbe una micidiale impennata ma poi, improvvisamente, alla fine del 2003, scomparve. E anche allora qualcuno parlò di autodistruzione del virus.
Fantascienza? Può darsi. Ma oggi dobbiamo ammettere che il Giappone sembra davvero un’isola anzi, un arcipelago felice, dove la vita sembra essere pian piano tornata alla normalità.
Da dicembre inizierà la distribuzione della terza dose e anche le frontiere, lentamente, stanno riaprendo. E con il pacchetto di oltre 50 miliardi appena approvato dal nuovo governo di Kishida, destinato a far ripartire il Paese in tutti i suoi settori è lecito aspettarsi che il Giappone esca finalmente da un lungo letargo iniziato ben prima della pandemia e da quest’ultima pesantemente allungato e aggravato.
Se poi il governo decidesse di aprire un po’ di più le frontiere, almeno al turismo dei vaccinati, e riducendo la quarantena dagli attuali 14 giorni a tre, anche il mondo si renderebbe conto che il Giappone è ripartito. E non potrebbe che rallegrarsene.