Corriere della Sera, 22 novembre 2021
Tiziano Ferro è sobrio da cinque anni
«La sobrietà è una cosa personale. Non va giudicata né promossa e non è questo ciò che ho intenzione di fare. Io ho semplicemente deciso di condividere col mondo la mia gratitudine, la speranza e la mia gioia. Perché essere fragili e vulnerabili non è cosa da curare. Non ho bisogno di alcol e droga per anestetizzare paure e dolori. A chi sente di aver bisogno di una mano: la soluzione esiste e vi giuro che andrà meglio, si può essere liberi e felici». Tiziano Ferro festeggia così, con un messaggio su Instagram, i suoi cinque anni di sobrietà dall’alcool, il mostro dietro il quale nascondeva sé stesso prima di imparare a essere felice. Ora finalmente lo è.
Sempre su Instagram pubblica un’altra foto sorridente. Stringe in mano il premio che gli è stato assegnato da ITTV, festival della televisione italiana a Los Angeles per il documentario Ferro (Amazon Prime Video) in cui racconta il suo percorso, dal bullismo al successo, dal segreto al coming-out, dalla solitudine dell’alcolismo all’amore, al matrimonio con Victor. «Sulla difficoltà di aprirmi come ho fatto nel documentario ce ne sarebbe da fare un altro – racconta dal tappeto rosso —. Il regista Beppe Tufarulo mi ha detto: “ti seguirò sino a che non ne potrai più e a quel punto inizierà il racconto”. Così è stato. Aprirsi è complesso ma importante, fare cose per sé stessi, a prescindere da quello che gli altri pensano, ti libera».
È stato un lungo viaggio, quello che ha portato Tiziano Ferro verso la libertà. Prima, nonostante il successo, nonostante i sette album ed il primo, «Rosso relativo», schizzato ai vertici delle classifiche, con 2,5 milioni di copie vendute, la pubblicazione in 42 Paesi, Ferro non era né felice, né libero. Da ragazzino era timido e sovrappeso, facile preda per i bulli. «Ogni volta che mi sento un po’ confuso mi chiedo: Tiziano, che diresti a quel ragazzino di 11 anni? Gli direi, guardati allo specchio, fai una fotografia. Va bene così. Schiaccia l’acceleratore e fregatene. Ti capiterà di non piacere a qualcuno, tanto vale non piacere, piacendo a sé stessi. Passiamo la vita a tentare di essere unici e poi nascondiamo le nostre unicità». Ci ha messo un po’ per capire la strada da prendere. A vent’anni era finalmente magro, bello e di successo, ma non era felice. Nel documentario fa l’elenco dei difetti: «Alcolista, bulimico, gay, depresso, famoso. Pure questo, famoso, mi sembrava un difetto, forse il peggiore».
Quella in America non è stata una fuga cosciente verso l’anonimato. A Los Angeles si è trovato quasi per caso e ci sta bene. Non la vuole una carriera americana: «L’unico tour che voglio fare qui è quello fra i corridoi del supermercato». In Italia al supermercato non ci poteva più andare. Una casa normale, una vita normale, con il marito e due cani anziani. «Era un’ipotesi oltre l’impossibile. Io non ho mai cercato l’America ma la vita è andata in questo modo, mi sono innamorato, ho una famiglia, ho degli amici, il lavoro va bene anche qui, registro i miei dischi, ma non vedo la mia carriera qui. Non sono credibile per il pubblico americano, ma va bene così». Essere famoso anche in America precluderebbe il super, le passeggiate mano nella mano con Victor, il desiderio che esprime nel docu: «Mi piacerebbe avere dei bambini».
Il percorso verso il coming-out del 2010 non è stato facile. Sarebbe stato più facile se già allora avesse abitato negli Stati Uniti? «Sì, forse, ma io sono nato in Italia e ho gestito la mia vita con quella che era ed è la cultura italiana. È stato facile? Forse no, però era giusto così. Poi sono convinto che i tempi stiano comunque cambiando, le cose stanno migliorando». Il nuovo Tiziano è un ottimista nonostante la politica in Italia continui a sbattere porte in faccia, vedi l’insuccesso del ddl Zan. «Quando mi chiedono come vedi l’Italia dall’estero rispondo che l’Italia siamo noi, che usciamo da casa e facciamo vedere a tutti cosa è il nostro Paese. L’Italia è qualcosa che evolve e che va avanti, nonostante tutto».