Corriere della Sera, 22 novembre 2021
La moda dell’anticorruzione
Una delle preoccupazioni che accompagnano l’attuazione del Pnrr è quella di evitare che il Piano per la Resilienza possa diventare l’occasione per favorire condotte corruttive all’interno della pubblica amministrazione e che quindi parte delle risorse pubbliche vengano distratte dalle finalità di interesse pubblico cui sono destinate.
Nonostante questa preoccupazione, tuttavia, non sembra che la strategia di prevenzione della corruzione abbia quella centralità che merita. Il Pnrr contemplava un disegno di legge delega di modifica della disciplina anticorruzione e della trasparenza da presentare entro giugno 2021, termine poi slittato a settembre, infine, pare finito nel dimenticatoio. Il complesso iter di riforma, pur previsto, non risulta così allineato per realizzare una efficace «sorveglianza» all’interno delle amministrazioni a presidio dei flussi di denaro provenienti dall’Europa.
A distanza di circa 10 anni dalla legge 190/2012 (legge anticorruzione) la modifica della disciplina vigente sembra quanto mai necessaria per eliminare le criticità che questo lungo periodo di attuazione ha fatto emergere e che la giurisprudenza amministrativa con i suoi interventi ha comunque contribuito a rendere applicabile (esempio ne è l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sulla trasparenza n. 10/2020); modifica che renderebbe più facile l’applicazione delle varie misure di prevenzione della corruzione varate dalla legge Severino.
Qualcuno, un po’ di tempo fa, aveva pronosticato che l’anticorruzione era una sorta di «moda» e, come tale, prima o poi sarebbe passata.
Che si sia trattato di una moderna Cassandra? Stiamo assistendo al tramonto di una moda oppure a un fisiologico rallentamento dovuto alle numerose iniziative legislative previste proprio dal Pnrr? Certamente questo non è un Governo che sta con le mani in mano e le proposte di modifiche normative giungono copiose; risalta, quindi, ancora di più che non si sia avviata quella della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Varare una riforma del settore significa dare al Paese un segnale importante: che la strategia di prevenzione della corruzione sta a cuore alle istituzioni e alla politica, tacitando così i pronostici più pessimisti. E se la strada individuata negli scorsi anni non fosse più condivisa si può sempre imboccarne un’altra. Una cosa è certa: per evitare la corruzione non basta il sistema penale, ma è necessario approntare e rendere credibile una strategia di prevenzione che coinvolga gli apparati amministrativi.
Non è solo il ritardo con cui si sta dando attuazione a questa parte del Pnrr a preoccupare. Il Piano integrato di attività e di organizzazione (PIAO) previsto dall’art. 6 del d.l. 80/2021, infatti, rischia di essere letto in questa ottica; se da una parte è certamente apprezzabile lo sforzo di semplificazione che si sta facendo eliminando o accorpando tutta una serie di piani introdotti negli ultimi 15 anni, che non hanno certamente significato una maggiore efficienza delle amministrazioni, dall’altro aver ricondotto il piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza a una «sezione» del PIAO e ripristinato nei fatti il sistema binario delle competenze, eliminato nel 2014, tra Dipartimento della funzione pubblica e l’Autorità anticorruzione sembra andare nel senso di un ridimensionamento del ruolo di quest’ultima. In molti hanno considerato che il ruolo «ingombrante» dell’Anac andava rivisto. Tuttavia imboccare la strada del ridimensionamento comporta il rischio grave che le amministrazioni perdano un interlocutore istituzionale importante per il consolidamento della cultura dell’etica pubblica. L’Anac può non piacere, ma c’è ed ha compiti da svolgere; sarebbe quindi importante che mantenesse la sua credibilità; la stessa politica, che sicuramente ha contribuito con le sue scelte a ridimensionarla dovrebbe ora lavorare per preservare questa credibilità piuttosto che prenderne le distanze.
Anche la mancata adozione, alla data del 30 aprile 2021, del regolamento relativo alla pubblicazione dei redditi di parte dei dirigenti amministrativi di vertice, che nei fatti lascia sospeso sine die il potere sanzionatorio dell’Anac su questo obbligo di pubblicazione, non depone bene, con in più la circostanza che risulta incerto lo stesso perimetro dell’obbligo di trasparenza riferito ai dirigenti. Nessuno soffrirà di insonnia per questo, ed è un bene, ma resta l’amarezza di constatare la scarsa attenzione verso una disciplina importante per la quale si può anche optare per l’abrogazione, che rappresenterebbe comunque – paradossalmente – un segnale di attenzione al tema.
E i segnali di una «moda» che sta passando non si fermano qui. Il pensiero va anche alla direttiva sulla protezione delle persone che segnalano illeciti, i cosiddetti whistleblowing (2019/1937) il cui termine di recepimento è previsto per dicembre 2021 per tutti gli stati. Nel nostro Paese la delega per recepirla, tuttavia, è scaduta lo scorso agosto e l’iter non risulta avviato, nonostante il testo approntato tempestivamente da parte degli uffici competenti. Il whistleblowing non salverà il nostro Paese dalla corruzione, nessuno è così ingenuo da crederlo, ma certamente il segnale che sarebbe derivato dal recepimento della direttiva era e resta importante: l’anticorruzione non è una moda che l’Italia sta aspettando che passi.