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 2021  novembre 22 Lunedì calendario

La vergogna del carcere Sestante di Torino

Che cosa accade davvero al Sestante, sezione psichiatrica del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, padiglione A, da anni al centro di uno stuolo di denunce, ma sempre lì, funzionante e popolato di ospiti detenuti in condizioni disumane? A leggere le parole di Susanna Marietti, presidente nazionale dell’associazione Antigone, ci si trova in un «luogo vergognoso in cui si rinuncia a vite umane come se valessero niente». Marietti va giù duro in una lunga lettera in cui elenca il resoconto di una visita di pochi giorni fa: «Celle piccole, sporche, letti in metallo scrostato attaccati al pavimento coi chiodi. Ho visto un uomo – scrive - sdraiato con la faccia per terra, al buio, bagni turchi intasati dalle feci da quattro giorni, detenuti con gli occhi a mezz’asta, incapaci anche di parlare e raccontare il proprio disagio. Luoghi indecenti - chiosa - in cui vengono ammassati corpi».
Il dato sembra ampiamente riscontrato da altri fatti. Due settimane prima della denuncia di Marietti, ci aveva pensato Monica Gallo, garante dei detenuti di Torino a scrivere al Provveditore dell’amministrazione penitenziaria del Nord Ovest e all’ Asl di competenza. In estrema sintesi, era un grido disperato: «Avevo chiesto che il Sestante venisse chiuso una volta per tutte». La donna lo aveva visitato l’ultima volta 15 giorni fa. «Come posso definirlo? Un luogo inumano e degradante». Nemmeno questa volta si è chiuso nulla, si dice perché sarebbero pronti dei lavori di ristrutturazione rinviati «enne» volte dalla lenta e quasi mai reattiva macchina burocratica dello Stato. E cosi questo settore del penitenziario torinese diviso in due articolazioni – "Osservazione" e "Trattamento" – è rimasto lì. A ospitare scempi che più voci confermano. Tre legali dell’Osservatorio carceri dell’Unione Camere penali stamattina si presenteranno in procura per depositare un esposto. Di più: «Chiederemo che il Sestante venga sequestrato come luogo in cui si consumano reati a danno dei detenuti» precisa Davide Mosso che sta lavorando alla denuncia insieme ai colleghi Alberto De Sanctis e Antonio Genovese. «La questione fondamentale è che le persone che soffrono di patologie psichiatriche non devono stare in carcere ma in un luogo di cura. Come prevede il codice» dice Mosso.
E proprio di un caso del genere riferisce Marietti nella sua lettera: «Nell’ultima cella prima dell’uscita c’era un ragazzino. Avrà avuto 25 anni. Gli ho chiesto come andasse. Le lacrime hanno cominciato a scendergli dagli occhi. Mi ha detto che non capiva perché fosse lì e che aveva tanta paura tutte le notti. Mi ha pregato di farlo trasferire. Gli ho spiegato che non avevo alcun potere in questo senso, ma mi sono fatta dare il numero di telefono della mamma, che lui sapeva a memoria. Gli operatori mi hanno spiegato che erano in attesa che si liberasse un posto in una Rems, le residenze a vocazione sanitaria per l’esecuzione delle misure di sicurezza psichiatriche». In definitiva: «Il ragazzo non avrebbe dovuto trovarsi lì, non c’era titolo per la sua detenzione. Sono uscita e ho chiamato la madre. Nessuno le aveva detto dove lo avessero portato».
Levata di scudi anche dalla politica. L’assessora torinese Gianna Pentenero, con delega ai Rapporti annuncia una visita in quel reparto. Parla di «situazione inaccettabile, peraltro già denunciata di recente per la quale chiedo alle autorità governative di intervenire con tempestività».
E che questo reparto sia stato - anche in un recente passato – foriero di scandali e inchieste non è un mistero. A giugno in tribunale si aprirà il processo contro tre agenti della penitenziaria accusati di omicidio colposo per un suicidio avvenuto al Sestante. Un detenuto si tolse la vita strangolandosi con i pantaloni del pigiama. L’agonia durò 12 minuti e nessuno di coloro che avrebbe dovuto controllarlo a vista si alzò per svolgere il proprio dovere.