Specchio, 21 novembre 2021
Intervista a Federica Cesarini e Valentina Rodini
Sono le donne d’oro dello sport italiano. Ma hanno l’argento vivo addosso. Federica Cesarini e Valentina Rodini il 29 luglio hanno vinto le Olimpiadi nel doppio pesi leggeri. Le prime azzurre a salire sul podio più alto nella storia del canottaggio. Quando parlano dicono «noi» anche se sono da sole. Ora sono divise, Vale si allena a Sabaudia mentre Fede è rimasta a Gavirate. Puntano su Parigi 2024 e lo fanno remando all’unisono, in acqua come nella vita, con la leggerezza con cui si sfiorano le onde e la grinta di chi nella vita vuole vincere.
Innanzitutto facciamo un patto? Almeno in questa intervista evitiamo di chiamarli sport minori?
Valentina: «Sì, dai: non chiamiamoli più sport minori!».
Federica: «Sì, certo. Ci vuole più cultura sportiva. Mi è capitato di parlare con chi non distingue canoa e canottaggio, vi assicuro che non è proprio bello. È come confondere il ping pong con il tennis».
Allora affare fatto. Ora possiamo partire. Cosa è cambiato nelle vostre vite da quel magico 29 luglio, il giorno dell’oro nel doppio a Tokyo. Le prime italiane a vincere una Olimpiade nel canottaggio.
Valentina: «La cosa che più è cambiata è che ci invitano a molti eventi, siamo spesso in giro. Fa piacere, sono cose belle. Certo andare su e giù con l’Italia che è lunga diventa faticoso, sono già tornata ad allenarmi e spesso devo cercare di incastrare gli impegni per non perdere nulla. Le cose vere della vita però non sono cambiate».
Federica: «Sono cambiate tante cose, non solo per la notorietà che ci riguarda. Credo che sia cambiata proprio la visione del canottaggio. Se prima era molto maschilista, se prima i risultati li portavano solo loro adesso invece ci siamo anche noi. Sono sicura che anche le donne che magari ora ci guardano ci credono un po’ di più. Sicuramente».
Vi siete sedute alla pari con i colleghi maschi al tavolo dove si prendono le decisioni...
Federica: «A far le scelte come è giusto che sia, e come sempre è stato, sono state quelle persone che portavano risultati. Ma adesso ci siamo anche noi e potremo ricoprire un ruolo importante».
Anche nello sport le donne non devono mai abbassare la guardia. Le differenze ci sono, inutile far finta di niente.
Valentina: «Nel canottaggio in questo ultimo quadriennio la squadra femminile si è affermata e viene giustamente considerata, i corpi militari hanno aperto le loro porte alle donne e abbiamo un direttore tecnico che fa gruppi uguali mischiandoci, sparring partner misti e senza differenze di genere. A Tokyo, noi abbiamo vinto e il 4 di coppia è arrivato a un soffio dalla medaglia, due senza e doppio comunque si sono difese. Se noi femmine ci intestardiamo e abbiamo qualcuno che crede fortemente in noi, non abbiamo assolutamente difficoltà ad affermarci, non abbiamo ostacoli».
Federica: «Parlando della mia cerchia, non sento granché questa cosa. Forse in passato, ora sinceramente no. Vincendo poi otteniamo fiducia, poi col cavolo che ce la facciamo togliere. Noi donne siamo toste, non ci facciamo mettere i piedi in testa. Credo che non siamo a livelli preistorici. Significa che il movimento è cresciuto davvero tanto, perché noi donne andiamo in acqua e non abbiamo paura di soffrire e di faticare».
Eppure ci sono donne che in mondi non così lontani da noi vengono uccise perché praticano una disciplina sportiva.
Valentina: «Credo che si debba lottare ancora molto perché lo sport possa essere praticato liberamente, bisogna difenderlo. È scioccante sapere che ragazze esattamente come me dall’altra parte del mondo in questo momento hanno paura. Dovrebbero aver paura per una gara importante non per la loro vita. Bisogna lottare, più riusciamo a farci sentire e più riusciamo a dar loro una mano».
Federica: «Quello poi è un capitolo schifoso. Mi sembra surreale, neanche gli animali vengono trattati così. Mi fa soffrire, anche se loro uccidono perché temono le donne, hanno paura. Altrimenti non si spiega».
Siete due giovani donne in un Paese dove la parola femminicidio trova ancora troppo spazio nelle cronache.
Valentina: «Se tendiamo bene le orecchie e ascoltiamo è purtroppo facile imbattersi in queste cose. La lotta non è finita e solo perché è stata fatta in buona parte non vuol dire che dobbiamo smettere di lottare. Se drizziamo le orecchie sentiamo gente che chiede aiuto. Le associazioni come Telefono Rosa esistono e se sono ancora molto ricercate è perché il problema sussiste. Quando non ci sarà più bisogno di queste strutture capiremo che il problema è stato superato».
Quindi non ascoltiamo abbastanza le donne?
Valentina: «Non credo ci sia chi non voglia e non riesca ad ascoltare. A volte le donne fanno fatica anche solo a parlare perché la paura frena, ammutolisce, zittisce. Bisogna continuare a lavorare, ci sono strutture che se ne occupano. Io non saprei come e cosa fare ma mi affido a chi fa questo per mestiere, a chi lo sa fare. Cerco di sostenerli e aiutarli».
Che rapporto avete con i social? Per gli sportivi non sempre è un mondo facile...
Federica: «Sono un’arma a doppio taglio, è una apparenza, è un apparire. Quello che vedi sui social non è mai la verità. Io posto abbastanza, sono attiva più che altro adesso perché voglio far conoscere il canottaggio. L’altro giorno ho postato lo smontaggio della barca, proprio perché credo sia importante divulgare le proprie conoscenze. Non credo invece all’effetto vetrina, che come concetto proprio non mi piace. Poi gli aspetti della vita privata... Hai già così poco tempo per viverli nella realtà che raccontarli online a me sinceramente poi a volte pesa».
C’è una vita al di fuori del canottaggio. Come la gestite? Non deve essere facile.
Valentina: «L’altra mia vita? La gestisco in funzione del canottaggio (ride, ndr). Per 5 anni ho messo al centro della mia vita quell’obiettivo (le Olimpiadi) e ne è valsa la pena. Studio, mi organizzo con sessioni e appelli pensando al calendario delle gare. Pianifico le uscite con gli amici in funzione del tornare presto a casa per dormire, odiata spesso proprio per questo. Si può vivere bene lo stesso, comunque. Lo sport insegna a vivere, se c’è qualcosa di importante lo si mette al primo posto e non si deve rinunciare a nient’altro. Tutte le altre cose non sono rinunce, basta solo imparare a organizzarsi. A dare rigore è proprio lo sport, se hai più obiettivi te li fa mettere in ordine per raggiungerli tutti. Ti dà questa forma mentis, non credo esista una sportivo che non riesce a vivere una vita».
Federica: «In realtà, ultimamente come sempre del resto riesco ad incastrare tutto quasi perfettamente. La fortuna è che anche il mio ragazzo fa la mia stessa vita, è venuto anche a Tokyo, e la maggior parte dei miei amici sono dei canottieri quindi ci capiamo abbastanza. La mia vita è scandita da studio e allenamento e da qualche frenesia sparsa qua e là. Devo dire che almeno una volta a settimana se mi va di vedere i miei amici li vedo. Certo, se vado a fare aperitivo o una cena poi non sto in giro fino alle due o alle tre di notte che poi il giorno dopo mi alleno alle 8 e mezza. Però lo faccio, ora col Covid un po’ meno, prima magari si. Sono andata a Ibiza, a Formentera per due anni. Il tempo per divertirti se vuoi lo trovi, anche a fine stagione. Non è una cosa che ti tiene in gabbia tutto l’anno. Credo che se invece una cosa la fai ogni sabato magari diventa pure noiosa…».
Incontrate tanti giovani, parlate nelle scuole e nelle aziende raccontandovi. Che valore è necessario trasmettere a un ragazzo dei nostri tempi?
Valentina: «Sorridere, ce l’ho anche tatuato addosso un sorriso. Quando volevo lasciare il canottaggio mi ha ricordato perché lo facevo, sono stata fortunata perché nella mia vita ho trovato persone che mi hanno ricordato il perché vado avanti. Persone che mi hanno fatto ridere, è stata una cosa così banale ma è cosi fondamentale per vivere bene, perché credo che sorridere sia alla base di tutto».
Federica: «Ci tengo a lanciare un messaggio: nello sport siamo tutti uguali, come nella vita. Sono sicura che si debba perseverare, se ci credi prima o poi una cosa succede sia nello sport, che nella vita che nello studio. Ci vuole passione e provo a insegnare per quello che posso trasmettendo il mio vissuto. Nello sport siamo tutti uguali, riunisce i normodotati quanto i paralimpici e le persone portatrici di handicap. Quando si tratta di remare siamo tutti perfetti, questo ti fa capire come in realtà tramite lo sport tutte le persone possono trovare una loro via ed essere salvate. Non devi per forza diventare un campione olimpico per salvarti, basta che trovi una tua via e sei felice. E se il canottaggio te lo può dare, perché no…?».